Diretto da Pierluigi Montalbano

Ogni giorno un nuovo articolo divulgativo, a fondo pagina i 10 più visitati e la liberatoria per testi e immagini.

Directed by Pierluigi Montalbano
Every day a new article at the bottom of the 10 most visited and disclaimer for text and graphics.
History Archaeology Art Literature Events

Storia Archeologia Arte Letteratura Eventi

Associazione Culturale Honebu

Translate - Traduzione - Select Language

lunedì 2 ottobre 2017

Archeologia: Platone e Atlantide. Come le nuvole all’imbrunire. Il Cappellano di Svezia e la ricerca delle Atlantidi mediterranee: la Sardegna. Riflessioni di Alfonso Stiglitz

Archeologia: Platone e Atlantide. Come le nuvole all’imbrunire.
Il Cappellano di Svezia e la ricerca delle Atlantidi mediterranee: la Sardegna.
Riflessioni di Alfonso Stiglitz


Il titolo. "come le nuvole all'imbrunire" è l'espressione utilizzata da Diderot per criticare il Cappellano di Svezia e i cercatori di Atlantide, equiparandoli ai bambini che al cadere del sole guardano le nuvole e in esse ognuno di loro vede quello che vuole, un viso, un animale ecc. 
L'epigrafe è questa:
je veux mourir si vous ne regardez l’auteur comme un enfant qui s’amuse à observer les nuées à la chute du jour. Le jour est bien tombé depuis environ deux mille cinqcents ans que Platon écrivait, et M. l’aumônier de Suède a vu dans les nuées de l’auteur grec,tout ce qu’il a plu à son imagination, aidée de beaucoup de connaissances, d’étude et de pénétration.
Excellent mémoire à lire pour apprendre à se méfier des conjectures des érudits.
che, tradotta in italiano suona grossomodo così: 
Voglio morire se non guardi all'autore come a un bambino che ama osservare le nuvole alla fine della giornata. Il giorno è sceso per circa duemila e cinquecento anni da quando ha scritto Platone e il cappellano svedese ha visto nelle nuvole dell'autore greco,tutto ciò che ha amato nella sua immaginazione, aiutato da molta conoscenza, studio e penetrazione.
Eccellente memoria da leggere per imparare a diffidare delle congetture degli studiosi.


ll racconto – né mito, né leggenda (Janni 2004: 63) – di Platone sulla storia di Atlantide e sulla sua sorte di tragica grandezza fu sostanzialmente ignorato  dai  suoi  contemporanei  e  successori,  salvo  scarne  citazioni, un’autorevole   stroncatura e significativi silenzi sino alla scoperta dell’America, quando si pose la necessità di spiegare la presenza di quelle inaspettate terre e l’identità  dei  suoi  abitanti,  nel  solco  del  testo  biblico (Gliozzi  1977;  Ciardi  2002).  Da qui  il  sorgere  del  mito  che,  seppure proiettato  al  di  là  del  Mediterraneo,  a  un  certo punto  trova  il  modo  di attraversare lo Stretto di Gibilterra per tornare nelle accoglienti braccia del
nostro  mare.  Il  racconto  di  una  storia  negativa  (Vidal-Naquet  2006:  110, della trad. italiana) si trasforma sempre più in quello di «una dimora felice dell’uomo agli inizi della sua esistenza, ormai perduta, alla quale l’umanità tende a ritornare, per recuperare felicità e innocenza» (Bigalli 2011). Rientrando  nel  Mediterraneo,  ormai  trasformata  in  mito,  Atlantide trova alcune isole e penisole come candidate alla sua identificazione e tra esse emerge quella oggetto di questo intervento, la Sardegna: Sardō nēson tēn megìsthēn, l’isola più grande del mondo (Erodoto, Hist. V, 106). Negli ultimi decenni questa identificazione è andata riempiendo gli scaffali delle librerie e delle biblioteche con testi che, con alterne fortune e traballanti argomentazioni, colpiscono l’orgoglio identitario e stimolano l’insipienza di  una  classe  politica  inadeguata  ai  tempi,  con  l’appoggio  di  alcuni autorevoli  studiosi  (infra), alla  ricerca  di  una  originaria  e  potente  isola, capace  di  riscattare  l’attuale  situazione  di  grave  subalternità  politica, economica e culturale (Frongia 2012).
Quello  che  è  interessante  raccontare  qui  brevemente  è  l’origine  di questa identificazione  che, lungi  dall’essere  un’eclatante  scoperta  delle geniali menti contemporanee di ‘ricercatori indipendenti’, è storia vecchia di circa tre secoli. Secoli nei quali gli studiosi, e non solo loro, apportarono significative correzioni al testo di Platone e alla sua (o di Solone) incapacità di trascrivere correttamente il racconto dei sacerdoti egizi della città di Sais.
In  un  bel  libro,  malamente  edito  in  Italia,  L.  Sprague  De  Camp  (1970) ironizza efficacemente su questi correttori di Platone:
non  si  può  cambiare  ogni  particolare  della  vicenda  e  pretendere ancora di riferirsi alla storia di Platone. Sarebbe come affermare che il leggendario  Re  Artù  fu ‘in  realtà’ la  regina  Cleopatra:  è  sufficiente cambiare il sesso, la nazionalità, il periodo storico, il temperamento, il
carattere e altri trascurabili dettagli del personaggio di Cleopatra e la somiglianza  diventerà
evidente  (Sprague  De  Camp 1970:  86  dell’ed. italiana).
Un  avvertimento  che  non  ha  mai  fermato  i  ricercatori  delle  atlantidi, impegnati  in  un  percorso  che  naviga  nell’infido  mare  compreso  «tra l’Atlantide dei geologi e l’Atlantide dei poeti e romanzieri» (Vidal-Naquet 2006: XVI, della trad. italiana).
Il filosofo spostò le date
Sin da subito l’accettazione del racconto platonico come ‘storia vera’ pose gli eruditi davanti al problema cronologico insormontabile all’epoca, in quanto in palese contrasto con la cronologia biblica, che poneva l’origine del mondo intorno al 4.000 a.C. La soluzione fu presto trovata, verso la fine del ‘400, attraverso l’autorità del massimo interprete di Platone, il filosofo Marsilio Ficino (Ciardi 2002: 26), con l’ingegnosa ipotesi di considerare il conteggio in termini di mesi e non di anni con il conseguente abbassamento cronologico al II millennio a.C., soluzione ribadita costantemente da vari autori sino ai giorni nostri. Se  da  una  parte  la  correzione  risolve  il  problema dell’esistenza  nel Mesolitico (data a cui rimanda il testo platonico) di improbabili civiltà della qualità  ed  estensione  di  Atlantide  e  di  Atene  così  come  raccontate  da Platone, dall’altra non permette una reale identificazione dell’epoca in cui questi  avvenimenti  sarebbero  avvenuti.  Infatti  Platone  data  la  guerra  tra Atlantide  e  Atene  a  9000  anni  a  partire  dal  racconto  che  il  sacerdote egiziano fece a Solone (Crizia 108e); va detto che è stata anche ipotizzata una  difformità  di  datazione  con  quella  contenuta  nel Timeo (23 d-e),  nel quale la guerra sarebbe da riportare a 8000 anni (Jordan, 2001: 20-21 della traduzione   italiana;   Mosconi,   2007-2008:   299).   Se   accettiamo   la   tesi dell’errore  di  trascrizione  degli  anni  e  quindi  una  loro  trasformazione  in mesi  avremo  rispettivamente  750  e  666 anni.  A  questo  punto  si  pone  il problema  dell’effettivo momento di  inizio  del  conteggio:  il  viaggio  di Solone, l’anno in cui è immaginato sia avvenuto il dialogo o l’anno in cui Platone ha scritto le due opere?
Se il viaggio di Solone può datarsi, con qualche problema, al 590 a. C. (Pinotti,  2006),  avremmo  una  datazione  al  1340/1256  a.  C.;  se,  invece,  si intende   il   trascorrere   del   tempo   a   partire   dalla   data   nella   quale   è immaginato il dialogo, 420 a. C., avremmo 1170/1086 a.C.; se, infine la data è quella dell’opera, 355 a. C., avremmo 1105/1021; per rimanere ai calcoli più lineari e meno cervellotici proposti nelle più disparate pubblicazioni.
Un immane guazzabuglio di anni che lasciamo volentieri agli appassionati di calcoli cronologici; quello che ci interessa è che questi calcoli riportano a quella che in Sardegna è l’età nuragica, momento fondante di quella che può  essere  definita «l’identità  al  passato  nella  Sardegna  di  oggi» (Cossu 2007: 125).
Il Cappellano di Svezia spostò le Colonne
Aumônier  de  la  Chapelle  Royale  de  Suéde  à  Paris;  Professeur dans  l’Université  de  Strasbourg;  Membre  de  l’Académie  Royale  des Sciences  de  Suéde,  &  de  celles  des  Belles-Lettres  & Beaux-Arts  de Göttingue  &  d’Ausbourg;  Correspondant  de  l’Académie  Royale  des Sciences de Paris. (Baër 1762: frontespizio)
Charles-Frédéric Baër di Strasburgo (Ciardi 2002: 75-78), ebbe la brillante e logica intuizione di andare a cercare le Colonne a Tiro nel tempio di Eracle/Melqart, lì dove erano state effettivamente viste con i propri occhi da un autorevole storico che rispondeva al nome di Erodoto
... navigai anche fino a Tiro, in Fenicia, poiché sapevo che lì c’è un venerato santuario di Eracle. E l’ho visto, riccamente provveduto di molti doni votivi: tra di essi nel tempio c’erano due stele (stēlai), una d’oro  puro,  l’altra  di  pietra  smeraldo,  che  di   notte  risplendeva grandemente. (Hist. II, 44)
Per  il  Cappellano  «Colonne  d’Hercule  &  Temple  d’Hercule  sont synonimes»  (Baër  1762:  49).  E  in  effetti  l’identificazione  di  Eracle  con Melqart  di  Tiro  e  delle  stele  con  le  colonne  era  corretta,  come  mostrano anche le monete della città dove sono riportate le due ambrosiai petrai legate alla narrazione dell’origine di Tiro da due isole vaganti nel mare (Nonno di  Panopolis Dionisiache XL,  465-500).  La  descrizione  dello  storico  greco trova una precisa rispondenza con quella biblica del tempio di Salomone e con le sue due splendide colonne, Iachin e Boaz (1Re 7,15-21; 2 Cronache 3, 15-17), non a caso realizzato dall’artigiano fenicio Curam-Abi che Hiram re di Tiro e alleato di Salomone inviò a Gerusalemme per sovrintendere ai lavori (1Re 7, 13-14; 41-42; 2 Cronache 2, 10-15; 4, 11-12); anche se è possibile che questa descrizione biblica sia da riportare in realtà al tempio di Tiro.
Comunque  sia,  l’assunto  di  Erodoto  di  una  corrispondenza  tra  Eracle  e Melqart è confermata dal celebre ritrovamento delle iscrizioni bilingui di Malta (CIS I, 122 –122 bis; I.G. XIV, 600; C.I.G. III, 5753), nelle quali al testo in  fenicio  rivolto  a  Melqart  corrisponde  quello  in  greco  con  la  dedica  a Eracle (Amadasi Guzzo, Rossignani 2002). La forma del cippo posto al di sopra  della  base  con  l’iscrizione  porta  agevolmente  ad  accostarlo  alle ambrosiai petrai del tempio di Tiro e, conseguentemente, rende plausibile la localizzazione    delle stēlai di    Eracle/Melqart    in    ogni    tempio    del Mediterraneo dedicato a questa divinità, sulla falsariga di quello di Tiro: ai cippi di Malta può oggi accostarsi quello, molto simile, rinvenuto a Cagliari con  la  dedica  a lmqrt  al  hsr,  a  Melqart  di  Tiro  (Guzzo  Amadasi  2002),  a segnare una lunga rotta verso occidente, il cui punto di arrivo è Cadice con le  famose  colonne  poste  nell’Herakleion della  città  andalusa,  note  dalla descrizione di Strabone (V. 5), forse derivata da Posidonio.
L’intuizione del Cappellano fu foriera di stimoli per gli studiosi; aver dimostrato che le colonne di cui parlava Platone (o per meglio dire Solone tramite  Platone) non  erano  necessariamente  quelle  di  Cadice  permetteva un loro posizionamento ovunque all’interno del Mediterraneo. Baër stesso le posizionò in Egitto.
il ne reste plus qu’à sçavoir, si entre la mer Rouge & la Palestine il  y  avoir  un  temple  célébre,  consacré  à  cette  divinité  &  c’est  ce  que Diodore de Sicile nous apprend en disant que l’une des embouchures du  Nil  étoit  appellée sōma  Hraklē ōtixon, embouchure  d’Hercule,  à cause  d’une  ville  &  d’un  fameux  temple  consacrés  à  cette  divinité. Nous demandons à nos lecteurs si ce ne sont pas là les Colonnes dont les Egyptiens ont voul u parler dans le récit qu’il sont fait à Solon. La chose  nous  paroît  plus  que  vraisemblable  ;  mais  nous  en  laissons  la décision à des Juges plus éclairés. (Baër 1762: 49-50)


E, quindi, una piccola carta
Una piccola carta (20 x 28 cm) dall’invitante titolo: Carte de l’Atlantide, d’après  Platon  et  Diodore (Fig.  1),  edita  a  Parigi  nel  1775  da  mani  ignote, rappresenta,  a  una  scala  approssimativa  di  1:6.000.000,  il  Mediterraneo occidentale  compreso  tra  le  coste  centro-settentrionali  dell’Italia, quelle meridionali   della   Francia,   quelle   orientali   della   Spagna   e   quelle settentrionali  dell’Africa.  Lo  spazio  compreso  tra  questi  lidi  è  quasi interamente  occupato  da  una  grande  isola  che  ingloba  la  Sardegna,  la Corsica e Minorca, lasciando fuori Maiorca e Ibiza. Quest’isola è Atlantide; al centro è il Royaume d’Atlas con la capitale, circondato dai nove arcontati di   Eudaimon, di  Amphères   con   le   miniere   di   Oricalco,   di   Mestore (quest’ultimo inglobante la Corsica) a nord e attraversati trasversalmente dai monti della grande catena del Nord; quelli di Elasippo (comprendente Minorca),   di   Mneseus   (comprendente   il   nord   Sardegna)   e   di   Azaës (comprendente la parte centromeridionale della Sardegna) al centro; quelli di Autochton con il fiume di Nettuno e il Porto di Atlantide, di Diaprèpes e di Eumélos, con un porto (comprendente l’estremità sudoccidentale della Sardegna) a sud. Al  centro,  come  detto,  il  regno  di  Atlante  comprendente  la  città capitale,  la  montagna  di Evenore,  la  foresta  di  Leucippo  e  un  canale,  il canale dei Re che parte dalla città e taglia dritto verso il sud attraversando il  regno  e  l’arcontato  di  Diaprèpes.
La  Sardegna  e  la  Corsica  sono caratterizzate da una linea che va da nord a sud, con il segno dei monti e la definizione di “Debris de l’Atlantide”, che può tradursi come resti di Atlantide:  si  tratta  delle  dorsali  montuose  delle  due  isole,  che  per  la Sardegna comprende i monti della Gallura, il Gennargentu e il Sarrabus-Gerrei. Se  per  questo  documento  non  è  certa  l’attribuzione,  più  elementi abbiamo per una carta, di poco più recente, contenuta nel Recueil de cartes geographiques  et  d’estampes  pour  l’histoire  philosophique  du  monde  primitif, edito nel 1793 da autore sconosciuto. La Carte du monde primitif à l’epoque de la fondation des premieres Empires connus rappresenta il mondo compreso tra la Cina e la Spagna; per quanto riguarda il Mediterraneo occidentale, denominato Mer  Interieure,  comprende  alcune  grandi  isole:  la Tyrrenide, che  corrisponde  all’attuale  Italia  centrale,  la Sicile e  l’isle  Atlantide,  che ingloba la Sardegna e la Corsica, esplicitamente menzionate. Questa  seconda  carta  è  sicuramente  collegata  con  l’opera  citata  nel titolo della raccolta, edita da Jean-Baptiste-Claude Del isle de Sales nel 1793 e nella quale la Sardegna, la Corsica e la Sicilia sarebbero l’ultimo residuo di  una  immensa  terra,  Atlantide,  nata  da  una  grande  conflagrazione vulcanica (Delisle de Sales 1793: 185-194). Alcuni elementi di questo testo ci  portano  a ipotizzare  che  anche  la  prima  carta  sia  dovuta  all’opera  di questo  autore:  la  definizione  della  Sardegna  come  “un  des  débris  de l’Atlantide” (ivi:185) così come la Corsica e, qualche pagina più in là,  la dichiarazione esplicita «et je concilie Platon avec Diodore, sans altérer la géographie, et sans blesser la raison» (ivi:187).
La  ricostruzione  del  filosofo  francese  vuole  essere  la  soluzione  al problema di Atlantide, riportandola nel Mediterraneo:
Si l’on suppose, par exemple, que l’Isle de Platon, ét ait située au milieu de la Méditérannée, vers le vingt neuvième degré de longitude, et le quarante - unième de latitude, à–peuprès dans la position de notre Sardaigne, qui  n’existait pas alors ou qui est plutôt  un des débris  de l’Atlantide,  il  se  trouvera qu’on  aura  rempli  à-peuprès  toutes  les conditions du problème. (Ivi:185)
Questa  ipotesi  necessita  uno  spostamento  delle  Colonne  d’Ercole, collocate  ora  in  uno  dei  templi  di  Cartagine: «or,  Carthage  était,  comme l’on sait, une Colonie des Tyriens: on y regardait Hercule comme le Dieu tutelaire de la nation» (ivi: 184).
In  De  Lisle  sono  presenti  tutti  gli  elementi  che  hanno  portato  molti autori moderni, generalmente semplici appassionati, a identificare l’isola con  Atlantide.  Egli  appare,  quindi,  il  primo autore  ad  aver  messo  in connessione  la  Sardegna  con  Atlantide,  anche  se,  a  dire  il  vero,  una precedente  associazione  venne  fatta  circa  1500  anni  prima  da  Claudio Eliano (De natura animalium, XV, 2) che raccontava come il vello degli arieti del mare delle bocche di Bonifacio servisse per realizzare il diadema dei re di Atlantide (Vidal-Naquet 2006: 25, della trad. italiana).
La supposizione di De Lisle e di tutti gli altri ricercatori dell’isola nel Mediterraneo,  così  come  nel  Nuovo  Mondo,  venne  demolita  con  una poderosa  memoria  da  Thomas  Henri  Martin,  docente  di  Letteratura classica all’Università di Rennes, che così conclude:
On  a  cru  la  [Atlantide]  reconnaitre  dans  le  Nouveau-Monde. Non: elle appartient à un autre monde, qui  n’est pas dans le domaine de l’espace, mais dans celui de la pensée. (Martin 1841: 332)
Da allora la Sardegna dorme in pace, salvo sporadici risvegli da parte di semplici appassionati e, in qualche caso, sorprendentemente ma non del tutto  (supra e infra),  da  parte  di  autorevoli  studio si  che,  direttamente  o indirettamente, riportano il tema sulle nostre sponde, anch’essi attraverso autorevoli correzioni di Platone.
Altre Atlantidi
Nel ‘900  sono  stati  diversi  i  percorsi  intrapresi  per  collocare  l’isola atlantidea nel Mediterraneo, chi in quello orientale, tra cui Thera/Santorini (Luce  1969),  la  più  famosa  di  tutte  e  chi  in  quello  occidentale.  Per quest’ultimo, a parte un’estemporanea suggestione sarda di età fascista, è  originale  l’ipotesi  avanzata  da  uno  dei  massimi  archeologi  italiani, Massimo Pallottino (1952) in una recensione-saggio dell’opera di Wilhelm Brandenstein   (1951),   di   cui   accetta   la   interpretazione   del   racconto atlantideo  come  saga  preplatonica  da  riportare  al  II  millennio  a.C.,  e  in particolare:
1) Nell’aver definito i racconti di Crizia come una saga antica ed accreditata,  a  nucleo  storico;  2)  nell’aver  ricondotto  la  ricerca  agli spunti storici della saga entro l’ambiente delle civiltà protostoriche del Mediterraneo orientale (Pallottino 1952: 230)
Il  percorso  dello  studioso  lo  porta  a  ipotizzare  una  connessione  tra fatti  storici  noti  a  Platone  sui  quali  si  inseriscono  precedenti  immagini quale quella di «un’isola leggendaria ad occidente del mondo greco ... [che] si inquadra ovviamente nei ‘racconti di  navigazione’ dei marinai, commercianti e coloni egei» (Ivi: 232).
Dopo un ampio excursus omerico, Pallottino individua nell’isola dei Feaci, Scheria, l’adattamento che il poeta fa di una saga più antica che ha tutti gli elementi per essere identificata con il racconto-saga platonico: «la Grecia   micenea   conosceva   bene   una   versione   della   saga   atlantidea, localizzata ad occidente» (ivi: 234-236, corsivo dell’autore).
Oltre  a  una  serie  di  altre  osservazioni  connesse  a  Creta,  lo  studioso giunge a concludere che la saga di Atlantide si porta con sé tre tradizioni che  sono  state  fuse  tra  loro  probabilmente  nel  periodo  saitico,  quello  del viaggio  di  Solone:  «quella  mediterranea  di  Scheria,  quella  Attica  dei conflitti  tra  Creta  e  Atene,  e  quella  orientale  delle  grandi  invasioni  da occidente» (ivi: 240), quelle dei “Popoli del Mare”, tra i quali richiama i Plst-Filistei e soprattutto gli “Sherdani” forse da identificare con i Sardi (ivi: 237).
Su  un  percorso  parallelo  ma  con  conclusioni  differenti  si  muove  M. Rousseaux   (1970)   che   attraverso   un   complesso   discorso   opta   per   la localizzazione di Atlantide in Sardegna. Il racconto del sacerdote egizio di Sais a Solone sarebbe un confuso ricordo di avvenimenti avvenuti mezzo millennio prima e legati alle attività dei “Popoli del Mare” di cui i Tursha, che diventeranno poi gli Etruschi e gli “Shardina” (ivi: 349, 353). A parere dell’autore  la  Sardegna  racchiude  tutte  le  caratteristiche  dell’isola  di Atlante e, in particolare, la città di Cagliari circondata dagli stagni (ivi: 354), posta  al  di  là  delle  Colonne  d’Ercole  che  l’Autore  situa  nello  stretto  di Sicilia (ivi: 348).
Si  portrait  il  y  a,  c’est  de toute  évidence  un  portrait composite, qui permet de conclure que l’Atlantide, c’est à la fois la terre d’Atlas et de ses descendants, l’île des Sardes avec sa plaine bien irriguée, ses ports savants sur des lagunes et sa couronne de monts, les provinces lointaines comme l’Étrurie, la mer enfin, sillonnée de courriers et où jadis se profilait le mirage d’une « île » immense, anéantie un jour non par  un cataclysme, mais par  la décadence  de  ceux qui la peuplaient. (Ivi: 356)
Sulla  scia  di  Pallottino,  pur  senza  un  preciso  riconoscimento  della filiazione,  si  muove  Giovanni  Ugas  (2015, 2016:  63-66)  che  riprende  le vecchie   collocazioni   in   nordafrica.   Con   l’utilizzo   di   fonti   storiche   e mitografiche, egiziane, greche e latine, di varia epoca, anche distanziate di quasi due millenni tra di loro (dalla stele poetica di Tuthmosi III a Diodoro e  oltre),  ma  poste  sullo  stesso  piano,  l’Autore  identifica  Atlantide  con  il nordafrica,  partendo  dalla  duplicità  semantica  del  termine  greco
nesos: ‘terra  circondata  dal  mare’ / ‘terra  lambita  dal  mare’che  rimanderebbe all’egiziano iw  (Ugas 2015: 95-96); su questa base non manca di seguire lo scivoloso  argomento  delle  assonanze  come  ad  esempio  «l’espressione geografica egizia iww wtc ty’(Iuu Utantiu) [...] che designava l’Africa Nord-Occidentale  e che alle  orecchie  dei  Greci  doveva  essere  percepita  come ‘Isole  di  Utantiu’,  dunque  ‘Isole  di  Atlante’» (Ugas  2015:  96;  cfr.  anche Ugas: 233, nota 30).
A  questo  punto  si  può  supporre  che  il  nome  greco  di  Atlante (Atlas/Atlantos),  che  indicava  ad  un  tempo  la divinità  che  sorregge  il cielo  ai  confini  del  mondo  e  la  regione  africana  nord  occidentale  dei Monti Atlanti, sia stato coniato sull’egizio Utantiu e che la terra di Iww Wt ntyu (Isole di Utantiu), corrisponda all’isola di Atlante  nota  dal Timeo e dal Crizia di Platone. (Ugas 2016: 66)
Inoltre   le   gesta   della   guerra   descritta   da   Platone   sarebbero   da riportare  alla  seconda  metà  del  II  millennio  per  alcuni  «fondamenti evenemenziali [Quali i] cocchi da guerra a due cavalli, i metalli impiegati nelle  mura  delle  città,  le  armi  in  bronzo,  tra  cui  i  piccoli  scudi  circolari (mikraspida) apparsi con i Popoli del Mare, l’assenza di ferro (ivi:97) e, in particolare, vengono connesse alle devastanti attività dei Popoli del mare, tra i quali, ovviamente, i Sardi, cioè gli Shardana. Per concludere,dunque, Platone ha attinto realmente a documenti egizi, ma ha inventato  del  tutto  l’alleanza  di  Atene  con  l’Egitto  contro  i  mitici Atlantidei,  vale  a  dire  i  Nordafricani  avversari  dei  Ramessidi, con l’intento di richiamare l’incombente pericolo occidentale di Cartagine, la nuova Atlantide, e di contrapporgli l’alleanza di Atene con l’Egitto, cioè con la Persia che lo governava. (Ivi: 99)
Infine, un qualche fracasso
«sono   venuto   a   conoscenza   di un   libro   lanciato   con   qualche fracasso..» (Vidal-Naquet 2006: 108, della trad. italiana), così lo studioso francese che ha dedicato più di mezzo secolo al tema platonico dà conto dell’uscita  di  un  libro,  preceduto  e  poi  accompagnato  dal  sostegno  del massimo quotidiano italiano, La Repubblica, di un giornalista che identifica l’isola di Atlantide con la Sardegna (Frau 2002). Alla  pubblicazione  sono  seguite  alcune  mostre  e  convegni  (presso l’Accademia   dei   Lincei   a   Roma   e   presso   l’Unesco   a   Parigi)   e, successivamente,  un  libro  di  asserito ‘bilancio’ delle  ricerche,  dalla  veste accattivante  e  l’originale  edizione  del  doppio  libro  a  stampa  invertita (Faraglia, Frau 2004; Frau, Manca 2004). La tesi del giornalista può essere riassunta    nella    collocazione    delle Colonne    d’Ercole    in    Sicilia, nell’identificazione della Sardegna con l’isola di Atlante e nella distruzione che nel 1175 un immane tzunami avrebbe portato nell’isola abbattendo e sommergendo di fango i nuraghi sino a quelli di Barumini e Villanovaforru posti rispettivamente a 238 e 408 m s.l.m. La catastrofe avrebbe provocato la fine della Civiltà nuragica e il trasferimento dei superstiti in Etruria.
La totale mancanza di scientificità della proposta (cfr. Clemente 2007) non  è  oggetto  di  questa  nota,  se  non  per  sottolineare  l’evidenza  del proseguo della Civiltà nuragica anche dopo il 1175 e per molti secoli, con straordinarie  realizzazioni  architettoniche  (ad  es.  pozzi  sacri)  e  artistiche (statue di Mont’e Prama e bronzetti), nonché la totale assenza di tracce di un devastante tzunami nella totalità dei nuraghi scavati. Quello che invece merita un accenno è il paradossale, ma non tanto inaspettato, supporto di alcuni  studiosi  di  chiara  fama  per  i  quali  vale  la  precisa  descrizione  di Pietro Janni. Ci sono anche studiosi qualificati che, forse per paura di apparire appunto  aridi  pedanti,  concedono  liberalmente  il  loro  avallo  a  certi geniali dilettanti: ‘sorprendente, stimolante, costringe a ripensare cose che   credevamo   assodate’ (così   pressappoco   suona   il   frasario   di prammatica). (Janni 2004: 110 n. 73)
È  del  tutto  evidente  che  qui  si  passa  dall’evoluzione  del  pensiero storico-filosofico  nel  quale  l’idea  di  Atlantide  ha  rappresentato  un  serio argomento  di  discussione,  a  una  narrazione  spettacolare  alla  quale  si piegano  illustri  studiosi  immemori  del  monito  di  Antonio  Gramsci  che arrivò   a   creare   un’apposita   categoria   alla   quale   diede   il   nome   di Lorianismo,  dedicandogli  uno  dei  quaderni  speciali  scritti  nel  carcere,  il 28.

De hoc satis

Fonte: Stiglitz, Alfonso, Come le nuvole all’imbrunire.  Il  Cappellano  di  Svezia  e  la ricerca  delle  Atlantidi  mediterranee:  la  Sardegna, “Medea”, III,  1,  2017,  DOI:
http://dx.doi.org/10.13125/medea-3009






9 commenti:

  1. Mi spaventa l'arroganza di coloro che negano l'esistenza di un fenomeno del quale non sanno nemmeno trascrivere il nome (tsunami e non tzunami!!!). Il che la dice davvero lunga su certi personaggi che neganno l'esistenza di ciò che non conoscono basandosi sul "sentito dire".
    Ma per favore!

    Albino Nieddu

    RispondiElimina
  2. Cosa ci fanno, allora le tombe romane de Su Nuraxi, se non a testimoniare, che nessuna Onda, ha colpito la Sardegna? Cosa avrebbero potuto insegnare, i Sardi del Bronzo ai Faraoni ? Non scherziamo.

    RispondiElimina
  3. Caro Pierluigi, ti ringrazio per la condivisione. Posso suggerirti di aggiungere l'epigrafe che ho messo all'inizio dell'articolo, la sua assenza non permette di capire il titolo. "come le nuvole all'imbrunire"è infatti l'espressione utilizzata da Diderot per criticare il Cappellano di Svezia e i cercatori di Atlantide, equiparandoli ai bambini che al cadere del sole guardano le nuvole e in esse ognuno di loro vede quello che vuole, un viso, un animale ecc. L'epigrafe è questa:
    je veux mourir si vous ne regardez l’auteur comme un enfant qui s’amuse à observer les nuées à la chute du jour. Le jour est bien tombé depuis environ deux mille cinqcents ans que Platon écrivait, et M. l’aumônier de Suède a vu dans les nuées de l’auteur grec,tout ce qu’il a plu à son imagination, aidée de beaucoup de connaissances, d’étude et de pénétration.
    Excellent mémoire à lire pour apprendre à se méfier des conjectures des érudits.
    che, tradotta in italiano suona grossomodo così:

    Voglio morire se non guardi all'autore come a un bambino che ama osservare le nuvole alla fine della giornata. Il giorno è sceso per circa duemila e cinquecento anni da quando ha scritto Platone e il cappellano svedese ha visto nelle nuvole dell'autore greco,tutto ciò che ha amato nella sua immaginazione, aiutato da molta conoscenza, studio e penetrazione.
    Eccellente memoria da leggere per imparare a diffidare delle congetture degli studiosi.
    Alfonso

    RispondiElimina
  4. Scrive Rolando Berretta a proposito della carta, allegata, che riporta l’Atlantide.
    Credo che l’Autore abbia raffigurato l’isola di Atlantide –dentro- il Mediterraneo per rendere immediata la lettura delle proporzioni. Quell’isola va vista fuori ma sullo stesso parallelo.
    ( e si risparmia sulla pergamena )

    RispondiElimina
  5. Gentile Rolando
    mi dispiace smentirla ma la carta indica con esattezza dove si pensava essere esistita Atlantide: per Jean-Baptiste-Claude Delisle de Sales, l'ispiratore della carta, la Sardegna e la Corsica sarebbero l’ultimo residuo di una immensa terra, Atlantide, nata da una grande conflagrazione vulcanica: "Si l’on suppose, par exemple, que l’Isle de Platon, était située au milieu de la Méditérannée, vers le vingt neuvième degré de longitude, et le quarante- unième de latitude, à-peu-près dans la position de notre Sardaigne, qui n’existait pas alors ou qui est plutôt un des débris de l’Atlantide, il se trouvera qu’on aura rempli à-peuprès toutes les conditions du problème": J.-B.-C. Delisle de Sales, Histoire philosophique du monde primitif, Tome VI, Paris 1793 (4e éd)p. 185. Nessuna volontà di risparmiare sulla pergamena.
    Alfonso Stiglitz

    RispondiElimina
  6. Dottor Stiglitz …. questo è il suo testo:
    … E, quindi, una piccola carta
    Una piccola carta (20 x 28 cm) dall’invitante titolo: Carte de l’Atlantide, d’après Platon et Diodore (Fig. 1), edita a Parigi nel 1775 da mani ignote, rappresenta, a una scala approssimativa di 1:6.000.000, il Mediterraneo occidentale compreso tra le coste centro-settentrionali dell’Italia, quelle meridionali della Francia, quelle orientali della Spagna e quelle settentrionali dell’Africa. …. La data dice 1775.

    Jean-Baptiste-Claude Delisle de Sales, l'ispiratore della carta, scrisse la sua opera nel 1793.
    (Delisle de Sales 1793: 185-194)

    Resto della mia idea:
    l’Autore della carta del 1775 “ha risparmiato” sulla pergamena e non è Jean-Baptiste-Claude Delisle de Sales.

    Rolando Berretta

    RispondiElimina
  7. Gentile Rolando, le riporto il testo integrale:
    Se per questo documento [quello del 1775] non è certa l’attribuzione, più elementi abbiamo per una carta, di poco più recente, contenuta nel Recueil de cartes geographiques et d’estampes pour l’histoire philosophique du monde primitif, edito nel 1793 da autore sconosciuto. La Carte du monde primitif à l’epoque de la fondation des premieres Empires connus rappresenta il mondo compreso tra la Cina e la Spagna; per quanto riguarda il Mediterraneo occidentale, denominato Mer Interieure, comprende alcune grandi isole: la Tyrrenide, che corrisponde all’attuale Italia centrale, la Sicile e l’isle Atlantide, che ingloba la Sardegna e la Corsica, esplicitamente menzionate. Questa seconda carta è sicuramente collegata con l’opera citata nel titolo della raccolta, edita da Jean-Baptiste-Claude Del isle de Sales nel 1793 e nella quale la Sardegna, la Corsica e la Sicilia sarebbero l’ultimo residuo di una immensa terra, Atlantide, nata da una grande conflagrazione vulcanica (Delisle de Sales 1793: 185-194). Alcuni elementi di questo testo ci portano a ipotizzare che anche la prima carta sia dovuta all’opera di questo autore: la definizione della Sardegna come “un des débris de l’Atlantide” (ivi:185) così come la Corsica e, qualche pagina più in là, la dichiarazione esplicita «et je concilie Platon avec Diodore, sans altérer la géographie, et sans blesser la raison» (ivi:187". Resto dell'idea che il cartografo non aveva problemi di risparmio.
    Alfonso
    P.S. Non mi risulta fosse in pergamena.

    RispondiElimina
  8. Fate finta di niente ma è passata molta acqua sotto quel mulino da quando il Frau diede alle stampe il suo libro. Nel frattempo vi sono state nuove scoperte e nuovi libri, di altri autori, che confermano l'identità tra Sardegna e Atlantide, che non parlano di Sardegna nuragica e si attengono alle date fornite a Solone dai sacerdoti di Sais. Rimanete arroccati sulle vostre torri nuragiche ad insistere sull'inesistenza di un "tzunami" nell'epoca del bronzo, per compiacere il defunto Marsilio Ficino che forse non era al corrente che già dal 5701 a.C. vi era un calendario civile in Egitto della durata di 365 giorni.

    RispondiElimina
  9. 5701? addirittura? Forse rifarei qualche calcolo o leggerei qualche serio libro sugli egizi.
    L'acqua sotto il mulino è stata veramente molta è ha portato via tutto il fango gettato da Frau sulla Sardegna. Comunque non mi risultano nuove scoperte né nuovi libri, ancorché anonimi come lei.
    Alfonso

    RispondiElimina