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sabato 18 febbraio 2017

Archeologia. Tempi che cambiano, luoghi che si trasformano: i mutamenti nei nuraghi fra l’età del Bronzo ed il Primo Ferro. Riflessioni di Mauro Perra

Archeologia. Tempi che cambiano, luoghi che si trasformano: i mutamenti nei nuraghi fra l’età del Bronzo ed il Primo Ferro
di Mauro Perra
(Fonte: http://ojs.unica.it/index.php/layers/article/view/2584/2204)


Abstract: Il lungo percorso della Civiltà Nuragica, compreso fra XVII e X-IX secolo a.C., si caratterizza come un’epoca di grandi trasformazioni che si susseguono nel tempo e lasciano visibili tracce in un paesaggio mutevole, come in un succedersi di macroscopiche unità stratigrafiche. Si trasformano profondamente così non solo i monumenti e il paesaggio, ma anche le stesse strutture sociali e politiche delle comunità nuragiche fino alla trasfigurazione del ricordo in mito nei centri cerimoniali o santuari.

Essendo il mio intervento incentrato sui cambiamenti e i riusi che hanno interessato i nuraghi, particolarmente quelli della regione storica della Marmilla durante la lunga età del bronzo nuragica fino alla prima età del ferro, esso potrebbe apparire fuori tempo e fuori luogo. Di tempi e di luoghi bisogna però parlare per comprendere la nozione di riuso, cioè di nuovo uso o rifunzionalizzazione, che ha interessato questi singolari monumenti isolani oltre l’età del bronzo, un riuso connesso a forme peculiari di appaesamento dell’uomo nuragico e di addomesticamento del tempo e dello spazio (Leroi Gourhan, 1977). Per questo motivo ritengo utile adottare una
prospettiva di lunga durata che ci consenta di esaminare prima l’uso o gli usi dei nuraghi e poi i riusi alla fine dell’età del Bronzo.

Segno dei tempi che cambiano e di trasformazioni epocali rispetto al periodo precedente la comparsa dei nuraghi, è il diffondersi sul suolo sardo verso la media età del Bronzo, delle forme arcaiche denominate nuraghi a corridoio, nuraghi a camera naviforme o, meno correttamente, protonuraghi. Rispetto alla concezione dello spazio del neolitico che, sulla scorta delle suggestioni di Leroi Gourhan, potremmo definire prevalentemente “radiante”, cioè uno spazio che a cerchi concentrici si prolunga dal villaggio fino ai territori di pertinenza del villaggio più prossimo, si assiste ad un proliferare di nuraghi e di tombe megalitiche in senso più diffuso sul territorio, particolarmente concentrati sulla sommità e ai margini di altopiani carbonatici, come nel caso del Su Mulinu di Villanovafranca (Ugas, 1987), o su tavolati basaltici come nella “Giara” di Gesturi, nel Su Pranu di Siddi (fig. 1), nell’altopiano di Mogoro ed in quello di Abbasanta (Lo Schiavo et al., 2009). Appare evidente soprattutto il contrasto con l’apparente assenza di abitati relativi alle fasi Campaniforme e Bonnannaro e la relativa rarefazione degli insediamenti cronologicamente attribuibili alle facies S. Iroxi (Bronzo Antico 2) e Sa Turricola (Bronzo Medio 1) (Lo Schiavo et al., 2009). Da questo momento in poi, rispetto alle precedenti fasi archeologiche, si osserva una precisa tendenza alla stabilizzazione dell’insediamento, che nella gran parte dei casi perdura ininterrottamente fino alla Prima Età del Ferro. Tale fenomeno è il frutto di un razionale progetto di aggregazione delle famiglie e delle strutture di parentela in vista del raggiungimento di obiettivi socio-economici comuni, quali un più stretto controllo del territorio e delle sue risorse. 

Corrispondentemente, nell’ambito economico si verifica l’integrazione e lo sviluppo delle forze produttive, con il conseguente superamento del modo di produzione domestico e l’avvio di un modo di produzione che potremmo definire beyond subsistence. Nella modalità nuragica di appropriazione dello spazio si osserva tuttavia, in numerosi casi, una continuità nell’utilizzo dei percorsi viari e dei siti dove si registrano significative preesistenze relative alle fasi neolitiche e dell’età del rame. É questo il caso dei nuraghi Sa Fogaia (V. Santoni, G. Bacco, M. Perra, ricerche inedite) e Sa Conca ‘e sa Cresia (Holt & Perra, c.s.) nel Su Pranu di Siddi, ma anche nel Cuccurada di Mogoro (Atzeni et al., 2001; Atzeni et al., 2005; Cicilloni, 2007). I dati di cronologia relativa, ottenuti con l’analisi tipologica delle ceramiche rinvenute nei contesti precedentemente enucleati, riportano ad una fase avanzata del Bronzo Medio, il Bronzo Medio 3, caratterizzata dalla presenza delle forme vascolari decorate ad ornato metopale. Nuove datazioni radiometriche calibrate relative a tali contesti, nel caso specifico della camera naviforme del nuraghe Conca ‘e sa Cresia di Siddi effettuate nel NSF-Arizona AMS Laboratory (fig. 2), riportano a date calendariali comprese fra il 1570 ed il 1400 a.C. (Holt & Perra, c.s.). Un momento decisivo nella trasformazione del paesaggio è dato dall’abbandono della forma arcaica del nuraghe o della sua trasformazione in nuraghe a tholos, fenomeno che avviene in un momento terminale della fase delle ceramiche ad ornato metopale contemporanea alle fasi di fondazione del nuraghe Arrubiu di Orroli, datate dal famoso alabastron miceneo intorno alla prima metà del XIV secolo a.C (1390-1340 a.C.) (Cossu, 2003). 

Si documenta in questa fase il definitivo abbandono di alcuni nuraghi arcaici come il Bruncu Madugui di Gesturi (Badas, 1993) e il nuraghe Sa Fogaia di Siddi, mentre altri nuraghi a corridoio come il Su Mulinu di Villanovafranca, Sa Conca ‘e sa Cresia di Siddi e anche il Cuccurada di Mogoro saranno trasformati in nuraghi a tholos ed alcuni loro ambienti definitivamente abbandonati. È la fase in cui il nuraghe a tholos comincia a divenire la forma architettonica canonica ed il centro catalizzatore dell’insediamento nella tipica modalità di popolamento del Bronzo Recente che è costituita dai sistemi territoriali gerarchizzati (Lo Schiavo et al., 2004) – i cantoni di G. Lilliu (Lilliu, 1988) – nei quali nuraghi complessi e semplici svolgono funzioni differenti nell’ambito del controllo del territorio, delle risorse e delle vie di comunicazione (Perra, 2008; Cossu & Perra, 2008). In questo periodo avviene una selezione degli insediamenti più antichi e la fondazione di nuovi siti in vista di una gestione del territorio e delle sue risorse più stretta e pianificata in un ambito territoriale più ampio di quello dei nuraghi arcaici e stimabile in media sui 100/150 Km2 . Il nuovo impianto a tholos e la rifunzionalizzazione dei nuraghi a corridoio comporta quindi non solo il ripensamento della forma architettonica del nuraghe – specialmente nei nuraghi complessi dove è palese la sovrapposizione degli ambienti cupolati che portano le strutture turrite ora munite di spalti ad altezze mai prima raggiunte – ma anche un profondo riassetto del territorio e del paesaggio trasformati e ripianificati in funzione di un sensibile incremento demografico. È questa una nuova concezione dello spazio, che potremmo definire policentrica, anche se è evidente la presenza di centri egemoni o caposaldi – in genere gli apprestamenti monumentali di una certa complessità e grandezza – e centri subalterni, distribuiti sul territorio non tanto e non solo in rispetto alla visibilità reciproca, quanto in rapporto alla stretta rete di strade che li collegava tra loro e con i sistemi territoriali più vicini. In un altro contributo (Perra, 2009) ho sottolineato quanto il nuovo sistema di gestione gerarchizzata del territorio corrisponda in qualche modo alle gerarchie di parentela nelle quali era strutturata la società, regolate in base alla distanza genealogica dalla famiglia dominante. In sistemi come questo, i nuraghi, oltre che svolgere la funzione di strutture di controllo dello spazio comunitario, delle sue vie di comunicazione e delle risorse, divengono anche, ma non esclusivamente, il simbolo dei rapporti sociali nei quali erano embricate le comunità nuragiche, rapporti instabili e con forte tendenza centrifuga, determinati dalle lotte interne per il potere (Usai, 1995; Perra, 1997; Perra, 2009). Tale modo di interpretare i nuraghi e la società che li ha prodotti impone il superamento del paradigma propugnato dal Lilliu, per il quale i nuraghi erano sostanzialmente il prodotto di comunità pastorali a forte impronta guerriera in un permanente stato di contrasto armato fra loro (Lilliu, 1988). In una parola richiede il superamento del paradigma nuraghe = fortezza. L’entropia latente nell’organizzazione sociale delle singole entità territoriali nuragiche è pertanto la causa principale, anche se non la sola, di ulteriori cambiamenti osservabili in diversi nuraghi fra la fine del Bronzo Recente e gli inizi del Bronzo Finale, fra il XIII e il XII sec. a.C., che comportano il definitivo abbandono di alcuni nuraghi complessi come ad es. il Pitzu Cummu di Lunamatrona (Locci, 2001), la ristrutturazione di altri come il Su Nuraxi di Barumini (Lilliu, 1955; Santoni, 2001) ed il Genna Maria di Villanovaforru (Badas, 1995) (fig. 3), mentre altri ancora sono trasformati in luoghi di culto, come ad es. il Cuccuru Nuraxi di Settimo S. Pietro nel Campidano di Cagliari (Atzeni, 1987). Nell’XI-X secolo a.C. lo stesso fenomeno è riscontrabile nel Su Mulinu di Villanovafranca in Marmilla (Ugas, 1989-90), a S. Vittoria di Serri nel Sarcidano (Taramelli, 1914; Taramelli, 1921; Taramelli, 1922) e nel nuraghe Nurdole di Orani nel Nuorese (Fadda, 1995). È questo un fenomeno che si manifesta in tutta la sua evidenza nelle fasi intermedie e finali del Bronzo Finale, quando notevoli quanto inspiegati episodi di collasso strutturale coinvolgono i nuraghi Su Nuraxi di Barumini e Genna Maria di Villanovaforru, nonché numerosi altri nuraghi in tutto il territorio dell’isola, in concomitanza con l’affievolirsi del culto degli antenati nelle tombe di giganti (Perra, 2006; Perra, 2012). 

In pochi nuraghi la vita continua e si protrae durante la Prima Età del Ferro, seppure in maniera del tutto sporadica, come ad es. nel nuraghe Arrubiu di Orroli (Lo Schiavo, 2003). In alcuni di essi si protrae fino all’orientalizzante, laddove le strutture ospitano ambienti esclusivamente utilizzati come luoghi di culto, come il vano “e” del già citato Su Mulinu di Villanovafranca (fig. 4). La maggior parte delle strutture e degli ambienti dei nuraghi, successivamente ai crolli del Bronzo Finale, non è più frequentata, mentre sulle murature collassate si sovrappongono, fra Bronzo Finale e Primo Ferro, gli apprestamenti abitativi di nuovi insediamenti, anche piuttosto vasti come a Barumini e Villanovaforru (Perra, 2012). In tutta l’isola, se non riutilizzata in funzione del culto, la struttura del nuraghe non è più funzionale agli usi invalsi durante le età del Bronzo Medio e Recente, e le torri non saranno più da considerare i centri catalizzatori dell’insediamento nuragico, sostituiti da vasti centri cerimoniali come S. Vittoria di Serri o S. Cristina di Paulilatino. Appare ragionevole supporre una notevole selezione e concentrazione degli insediamenti intorno ai templi che fanno parte di sistemi territoriali più ampi rispetto a quelli descritti per il periodo compreso fra Bronzo Medio avanzato e Bronzo Recente, e che raccolgono diverse comunità pienamente coinvolte in un processo d’intensificazione del rituale religioso nei templi a pozzo, a megaron, nelle rotonde ecc.. La fragilità e la tendenza all’entropia dell’assetto sociale nuragico, che hanno prodotto il collasso dei nuraghi o al massimo il loro riuso come sacelli, sono la spia di profondi cambiamenti politici e sociali tramite i quali le frange subalterne, richiedendo maggiori spazi politici, mettono in crisi la legittimità del potere dei gruppi egemoni, che ricorrono all’intensificazione del rituale religioso per dare nuovo senso al mondo nuragico in crisi e cercare di cementare l’unità politica delle diverse componenti della società nuragica (Perra, 2009). Obiettivi questi, che nei tempi nuovi il sistema nuraghe non è più in grado di ottenere. I segni più evidenti della decisa ricerca da parte dei gruppi egemoni nuragici di una legittimazione della loro posizione dominante e di un nuovo cemento identitario sono dati dagli strumenti rituali in uso nei templi e nei centri di rappresentanza politica come le c.d. capanne delle riunioni. La rappresentazione delle spade votive nei fastigi e nei muri divisori dei templi, come ad es. a Su Tempiesu di Orune (Fadda & Lo Schiavo, 1992) o Gremanu di Fonni (Fadda & Posi, 2008), i modellini di nuraghi (fig. 5) e delle vasche-altare come a Monte Prama, al Su Nuraxi nel vano 80, al Su Mulinu come a Su Monte di Sorradile (Santoni & Bacco 2005; Santoni & Bacco, 2008), gli stessi bronzetti di guerrieri, sono da interpretarsi come segni della riappropriazione celebrativa di un passato mitico nel quale gli antenati-guerrieri delle élites hanno costruito i nuraghi, e sono i creatori di un’era eroica (Leonelli, 2005; Leonelli, 2012a; Leonelli 2012b). La domesticazione del passato in funzione di un presente problematico e di sostanziale crisi politica e sociale, avvenuta fra Bronzo Finale e Primo Ferro, spiega anche l’improvviso apparire delle prime sepolture individuali, la statuaria in pietra di Monte Prama e i bronzetti di guerrieri ed eroi nelle saghe di Abini a Teti e S. Vittoria di Serri (Perra, c.s.). Che tale processo sia da interpretarsi come spia di una notevole intensificazione della dialettica sociale è indubbio. Tutto ciò è comprovato anche dalla partecipazione attiva agli scambi mediterranei e particolarmente con l’area tirrenica e la penisola iberica. Meno certa è la trasformazione in senso aristocratico della struttura sociale e politica nuragica, come generalmente accettata dalla maggior parte dei ricercatori. Tale profonda trasformazione richiede il superamento dell’organizzazione parentelare e fra gli altri un requisito irrinunciabile: la comparsa del legame di proprietà che entra in concorrenza con le antiche relazioni personali (Balandier, 1967 p. 126; Peroni, 1996). Infatti, da un lato le offerte nei santuari non appaiono come offerte individuali ma di un gruppo di potere, dall’altro le stesse capanne delle riunioni sono strutture cospicue ma fornite di sedili su tutto il perimetro interno e quindi deputate ad ospitare una rappresentanza politica plurale e non individuale. Il processo storico di longue durée, qui sinteticamente analizzato, è osservabile in tutta l’isola ma con intensità, tempi e luoghi differenti a seconda delle dinamiche sociali e politiche delle relazioni fra gruppi egemoni e gruppi subalterni nei quali erano strutturate le comunità nuragiche. Questo approccio olistico e “dinamista” alla c.d. civiltà nuragica, così come proposto in questa sede, contribuisce a delineare appena i tratti di una civiltà non statica ma in movimento, non monolitica ma sfaccettata e multiforme, dove le dimensioni di spazio e tempo sono delle variabili locali che si possono, e si potranno ancor più in futuro, apprezzare nei diversi contesti archeologici della Sardegna protostorica.

1 commento:

  1. Ho cercato il termine fortezza sul dizionario Treccani,riporto qui il significato:"Opera di fortificazione a semplice cinta continua, con opere addizionali aggiunte o avantate". A prescindere dal loro utilizzo in italiano non dovrebbe esser sempre corretto il termine adoperato? Che senso avrebbe oggi costruire una struttura di un centro commerciale come un castello del medioevo ? Siete sempre super chiaro e preciso, mi scuso per l'esempio molto elementare . I vostri articoli sono sempre super interessanti.

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