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domenica 22 gennaio 2017

Archeologia. Gilgamesh e gli Antichi Popoli della Mesopotamia: Sumeri e Accadi.

Archeologia. Gilgamesh e gli Antichi Popoli della Mesopotamia: Sumeri e Accadi.

Sumeri.
Le prime città del Vicino Oriente sorsero nell’antica Mesopotamia, una fertile pianura situata in Asia fra i due grandi fiumi Tigri ed Eufrate. Qui, per la prima volta, gli uomini introdussero un sistema di scrittura costituito da caratteri lineari a forma di cuneo scritti da sinistra verso destra mediante la punta di una canna che affondava nell’argilla. In origine i segni, pittografici, riproducevano schematicamente gli oggetti. Successivamente divennero lineari, per poi acquistare la forma di cunei quando si cominciò a scrivere nell’argilla ancora molle, su cui era impossibile segnare con chiarezza le linee. Gli abitanti vivevano prevalentemente in campagna, all’interno di
case fatte di mattoni crudi, ovvero di fango seccato all'aria, e generalmente avevano un cortile e un terrazzo sul tetto. I contadini allevavano capre, pecore e buoi, che usavano per i lavori agricoli. Scavarono una fitta rete di canali per irrigare il terreno con l'acqua dei fiumi. Fra i prodotti dell’agricoltura notiamo orzo, frumento e datteri. Il raccolto era ricco e consentiva di sfamare anche coloro che si dedicavano ad attività diverse dall'agricoltura. Nelle piccole città risiedevano bottegai e artigiani che si dedicavano ad attività legate al consumo alimentare, alla tessitura e alla colorazione dei tessuti. Fabbri e falegnami costruivano mobili e attrezzi da lavoro, mentre gli orefici creavano gioielli e i vasai fabbricavano anfore, piatti e oggetti per la mensa. Alla guida di carovane di asini e cammelli c'erano mercanti che portavano questi prodotti lontano dalla Mesopotamia per barattarli con metalli, pietre preziose e altri oggetti che non si trovavano nel loro paese. Al centro delle città sorgeva il palazzo, dove vivevano i re e gli scribi. I re amministravano la giustizia e conducevano gli eserciti in guerra. Gli scribi, invece, annotavano le spese e conteggiavano i tributi dei contadini. I mestieri erano spesso ereditati dai figli, in città e in campagna. Le donne si dedicavano alla famiglia ma avevano la possibilità di amministrare da sole le proprie ricchezze. Il popolo adorava decine di divinità diverse, ad esempio Ishtar, dea dell'amore e della guerra, Shamash, dio del Sole, e Nabu, dio della scrittura. Le cerimonie solenni si svolgevano nei templi. Alcuni di essi avevano terrazze su cui sacerdoti, denominati magi, studiavano gli astri: registravano i movimenti delle stelle e da queste prevedevano il futuro e facevano l’oroscopo. Alle preghiere e alle pozioni magiche si ricorreva anche in caso di malattia perché si pensava che si trattasse di una punizione divina o l'effetto di una maledizione. Nel corso dei millenni diversi popoli si contesero il dominio della Mesopotamia. All'inizio c'erano i Sumeri, poi i Babilonesi e in seguito i bellicosi Assiri, guerrieri spietati provenienti dal Nord. Poi di nuovo presero il sopravvento i Babilonesi, e infine ci fu il dominio dei Persiani. Questi ultimi parlavano una lingua diversa e adoravano un solo dio, che veneravano sotto forma di fuoco. Inoltre, erano abilissimi combattenti a cavallo. Crearono un vastissimo impero nel quale costruirono strade e diffusero l'uso della moneta. Una delle più grandi città della Mesopotamia fu Babilonia, una città completamente circondata da mura possenti, con torrioni e porte fortificate, decorate con mattonelle smaltate blu. I giardini pensili costruiti sulla sommità dei palazzi sono considerati una delle sette meraviglie del mondo. Al centro della città sorgeva un enorme edificio a gradoni, alla base del quale stava il tempio del dio Marduk. Questo tipo di costruzioni, formate da più piani sovrapposti, era diffuso in tutta la Mesopotamia e si chiamava ziqqurat. Fra i più antichi popoli a lasciare tracce indelebili nella storia di quei luoghi abbiamo i Sumeri. Fondarono alcune città-Stato ma non furono i soli abitanti di quell’area, popolata anche da genti semitiche che parlavano l’accadico (la lingua dei Babilonesi e degli Assiri), stanziate nel Centro e nel Nord della Mesopotamia. La lingua dei Sumeri non ha parentele dirette con altri idiomi. Era una lingua agglutinante, ossia che unisce alla base della parola diversi elementi, attaccandoli secondo un ordine rigoroso. Per esempio, in sumerico “ai figli del re” si direbbe così: dumu.lugal.ak.ene.ra = figlio + (re del) plurale + a. Oggi esistono tante lingue agglutinanti (la più parlata è il turco), ma la lingua dei Sumeri non è affine a nessuna di esse. La scrittura inventata dai Sumeri fu largamente adottata dai popoli vicini, che parlavano lingue diverse tra loro: basti pensare all’accadico, all’ittita (indoeuropeo) e all’elamico (altra lingua agglutinante). Il sistema sumerico consisteva di un migliaio di segni, ognuno dei quali non rappresentava i suoni delle parole, bensì un’idea o un oggetto. Così, l’insieme di 5 segni ad angolo più la forma schizzata di un pesce (in sumerico ku) significa: 50 pesci. Per semplificare il sistema, si pensò di attribuire più valori a ogni singolo segno, secondo rapporti di affinità. Per esempio il segno che rappresentava la testa (sag) con l’aggiunta di un tratteggio nella mascella inferiore significava bocca (ka). Ma con la bocca si mangia e si parla, quindi con lo stesso segno di bocca si indicavano i verbi mangiare (gu) e parlare (dug), parola (enim), e altro. In seguito, quando i disegni stilizzandosi assunsero la forma di cunei, essi furono usati per indicare anche delle sillabe, senza curarsi del significato. Per scrivere la parola italiana barca, avremmo usato il segno bar (che in sumerico vuol dire lato) 1 ka (bocca), senza riferimento all’idea di “lato 1 bocca”, ma solo al suono delle due sillabe: il principio è lo stesso dei rebus che si trovano nelle odierne riviste di enigmistica. Il numero di segni con il passare del tempo si ridusse e con essi furono scritti poemi mitici, epici, cronache, inni e preghiere agli dei, esorcismi contro i demoni e trattati di divinazione per capire cosa gli dei avessero in serbo per il re. Furono redatti anche lettere e documenti amministrativi o contabili, creando vasti archivi che documentassero le attività che si svolgevano in templi, palazzi e mercati. La convivenza tra Sumeri e Semiti, che parlavano due lingue diverse tra loro, creò una vasta area popolata da persone bilingui e, di conseguenza, le due lingue subirono delle modificazioni. Per fare un esempio, le lingue semitiche mettono il verbo in mezzo alla frase (per esempio, il re costruì il tempio), ma l’accadico, pur essendo lingua semitica, mette il verbo alla fine, proprio come fa il sumerico, a causa appunto dell’influenza di questo (il re il tempio costruì). Chi parlava entrambe le lingue trovava più comodo costruire le frasi nello stesso modo, e sapeva che non ci sarebbe stata confusione, perché tutti erano bilingui. Non sappiamo quando i Sumeri giunsero in Mesopotamia. Divisero il territorio in regioni autonome, ognuna retta da una città-Stato. Spesso in conflitto tra loro, erano unite dalle stesse concezioni religiose, e ogni città era sede di una divinità. Tutte insieme erano l’assemblea degli dei. La città di Nippur era sede del re degli dei, Enlil. L’organizzazione del territorio in città-Stato si riflette anche nel mito che racconta la storia delle loro origini. I Sumeri, infatti, ritenevano che gli dei, per dare inizio alla civiltà, avessero fatto scendere in terra la regalità e il culto. I re regnarono su singole città, ognuna delle quali, a turno, si era sede della regalità. Così al primo re, Alulim, succedette Alagar ed entrambi regnarono a Eridu, la città più meridionale della Mesopotamia. I successivi tre re regnarono a Bad-Tibira, perché la regalità s’era trasferita da Eridu in quella città. In seguito, anche Bad-Tibira fu abbandonata e la regalità s’installò nella città di Larak. Il lungo elenco dei re riportato nei testi sumeri si succedono dall’inizio della civiltà, addirittura prima del diluvio universale. Infatti, dopo Larak, furono le città di Sippar e Shuruppak (con un solo re ciascuna) le sedi della regalità, ma poi il diluvio spazzò via tutto. L’ultimo re, Ubar-Tutu, divenne il Noè mesopotamico. Costruì un’arca con cui salvò sé stesso, la sua famiglia e una coppia di ogni specie animale. Egli, poiché era figlio del dio demiurgo Enki, fu avvertito per tempo della catastrofe incombente. Ognuno di questi re, secondo il mito dei Sumeri, regnò per un incredibile numero di anni: per esempio, al re Alulim furono attribuiti 28.800 anni di regno, e Ubar-Tutu durò per 18.600 anni. Dopo il diluvio, i re durano per un numero di anni meno fantasioso fino a giungere ai re storici. Tuttavia, la Lista reale sumerica non rispecchia la realtà, infatti non è vero che una città alla volta abbia esercitato il potere regale in Mesopotamia. La storia è più complessa, infatti, dal novero delle città è esclusa, ad esempio, l’importante città di Lagash, sulla quale sappiamo che ingaggiò un conflitto (tra il 2450 e il 2300 a.C.) con la vicina città di Umma, per il possesso di un territorio ricco di grano: il Guedena. Gli dei delle due città, il dio Shara di Umma e il dio Nin-Girsu di Lagash, avevano ricevuto in Cielo, da Enlil, il tracciato del confine realizzato dall’antico re Mesalim; quando il re di Umma violò il confine, si scatenò la guerra, vero ‘giudizio di Dio’, per ripristinare l’ordine divino violato. Attorno al 2350 il re di Uruk Lugalzagghesi riuscì a imporre il suo dominio sulla Mesopotamia del Sud, ma fu sconfitto da Sargon di Akkad (2335-2279), un personaggio mitico salvato dalle acque, che fondò il primo impero semitico a noi noto. I barbari Gutei scesero in Mesopotamia e l’Impero accadico crollò attorno al 2190; fu solo la riscossa del re di Uruk a decretarne la sconfitta. In seguito, il principe della città di Ur, Ur-Namma, prese il potere, dando inizio alla terza dinastia di Ur, che unificò la Mesopotamia dal 2112 al 2004, data in cui Ur fu distrutta. Questo evento segna l’uscita di scena dei Sumeri come popolo dominante, ma la loro lingua (come il latino nel Medioevo) continuò a essere usata fino al III d.C.
Accadi.
Gli Accadi sono un’antica popolazione semitica che prende nome dalla città di Akkad, fondata da Sargon I nel 2300 a.C. circa e divenuta, dopo la vittoria sul re sumero Lugalzaggesi, capitale di un regno che comprendeva la Mesopotamia, una parte dell’Iran e della Siria. Il primo re e fondatore del popolo degli Accadi fu Sargon, un leggendario personaggio abbandonato dalla madre in un fiume, come Mosè, e salvato dalla dea Ishtar. Da giovane fu coppiere reale a Kish, poi condusse delle campagne militari conquistando la Siria e parte del Mediterraneo, comandando "sopra le quattro parti del mondo". Il suo potere era garantito dalla fedeltà dell'esercito, 5400 uomini che banchettavano e bevevano alla sua stessa mensa. Nei testi cuneiformi, il nome Akkad designa sia la città sia la regione settentrionale della bassa Mesopotamia, in opposizione alla terra di Sumer. Distrutta intorno al 2100 a.C., la capitale degli Accadi non fu più ricostruita. Il regno degli Accadi ebbe un’amministrazione centralizzata, di cui rimangono tracce documentarie a Umma e Gasur, oggi Yorgan Tepe. Per favorire l’integrazione delle città sottomesse, Sargon I declassò i principi locali al rango di governatori e li sostituì con i cittadini di Agade, suoi consanguinei. La figlia del sovrano, Enheduanna, sacerdotessa a Ur, assimilò il culto semitico della dea guerriera Ishtar, protettrice della dinastia, a quello della sumera Inanna, favorendo forme di sincretismo religioso tra divinità sumere e semitiche. Narām-Sīn, terzo successore di Sargon, si fregiò dei titoli di re delle quattro regioni del mondo e dio di Agade. La lingua accadica, utilizzata insieme al sumerico nelle iscrizioni regie e per la redazione di atti amministrativi e legali, costituisce insieme alla lingua paleocananea di Ebla il più antico esempio di lingua semitica. I più antichi documenti risalgono alla prima metà del III millennio a.C. e sono scritti con i caratteri sillabici cuneiformi già usati dai Sumeri. Nel II millennio a.C. l’accadico divenne la lingua più diffusa nei paesi del Vicino Oriente. Si distinguono diverse fasi linguistiche: il paleoaccadico (circa 2600-2000 a.C.), lingua dell’impero fondato da Sargon I; il paleobabilonese (circa 2000-1600 a.C.), l’espressione più alta dell’accadico; il paleoassiro (circa 2000-1700 a.C.), che conserva, a differenza del babilonese, alcune vocali in iato non contratte; il mediobabilonese (circa 1600-1000 a.C.); il medioassiro (circa 1500-1000 a.C.); il neobabilonese e il neoassiro (circa 1000-600 a.C.), che risentono dell’influenza dell’aramaico. Fra le opere letterarie, si ricorda un poema in onore di Ishtar composto da Enheduanna. 

Gilgamesh.
Gilgamesh, il leggendario eroe sumerico, fu il quinto re della I dinastia della città sumerica di Uruk, era per due terzi dio e per un terzo uomo. Risulta come divinità in un elenco di nomi trovato a Shuruppak, l'odierna Fara, in Afghanistan, databile al 2600 a.C. Le sue gesta ispirarono numerosi poemi: Gilgamesh e l'oltretomba, Gilgamesh e Agga, Gilgamesh e Huwawa, Gilgamesh e il Toro Celeste, La morte di Gilgamesh. I testi risalgono al 2100 a.C., lo raccontano come uno spietato tiranno che aveva stremato il popolo di Uruk, impegnandolo nella costruzione di una superba cinta muraria a difesa della città. Le donne chiedono aiuto agli dei, che creano Enkidu, un essere primitivo e selvaggio che vive in armonia con gli animali, distruggendo le trappole approntate dai cacciatori. Questi ultimi chiedono a una fanciulla di sedurlo e condurlo nella civiltà. Entrato a Uruk, Enkidu si scontra con Gilgamesh ma i due diventano amici e decidono di compiere insieme una grande impresa: entrare nella foresta dei cedri (in quello che oggi è il Libano) e uccidere il mostro Khumbaba che ne stava a guardia. L'impresa riesce, ma irrita gli dei che avevano stabilito il ruolo di Khumbaba. Inoltre la dea Isthar, la Venere babilonese, respinta da Gilgamesh invia sulla Terra il Toro Celeste, ma i due eroi riescono a ucciderlo. La dea, a quel punto, lancia una terribile maledizione e, subito dopo, Enkidu si ammala e muore. Incapace di rassegnarsi, Gilgamesh decide di mettersi in viaggio per raggiungere gli estremi confini del mondo e chiedere aiuto all'unico uomo immortale: Utnapishtim, il Noè mesopotamico, che aveva salvato nell'arca le specie viventi e l'uomo dal diluvio universale (il mito fu ripreso nella Bibbia) e, per questa ragione, aveva ottenuto la vita perpetua. Ma, richiesto di restare sveglio per una settimana, l'eroe fallisce la prova. Utnapishtim, impietosito, gli indica come consolazione dove trovare la pianta della giovinezza. Sulla via del ritorno, per una banale distrazione, la pianta viene mangiata da un serpente, che subito ringiovanisce cambiando pelle. Nella saga di Gilgamesh, quindi, l'eroe fallisce nella sua ricerca sia dell'immortalità sia della giovinezza, ma la sua figura ispirerà quella dell'eroe greco Ulisse e perfino il pellegrinaggio della Divina Commedia di Dante. Degli altri poemi sumerici esclusi dalla trama unificata del poema babilonese, Gilgamesh e Agga narra l'apparire sulle mura di Uruk dell'eroe, circonfuso di splendore, per volgere in fuga gli assedianti del re Agga (l'episodio richiama quello di Achille, che mette in fuga i Troiani con il suo urlo dopo la morte di Patroclo, nell'Iliade). Nei poemi “La morte di Gilgamesh” e “Gilgamesh e l'oltretomba” si descrive il mondo dei defunti, in cui l'incauto Enkidu rimane prigioniero richiamando l’episodio della discesa di Ulisse nell'Ade.



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