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domenica 27 settembre 2015

Archeologia. La città perduta del Dio Scimmia.Scoperte nella giungla dell'Honduras le tracce di una civiltà scomparsa

Archeologia. La città perduta del Dio Scimmia.Scoperte nella giungla dell'Honduras le tracce di una civiltà scomparsa
di Douglas Preston, fotografie di Dave Yoder

Le leggende parlavano di una misteriosa "Città Bianca" o "Città del Dio Scimmia", ma nessuno l'aveva mai trovata. Adesso un team di archeologi ha scoperto, in una regione remota e disabitata dell'Honduras, le tracce di ampie piazze, lavori di sterro, collinette e una piramide di terra: i resti di un'antica cultura che fiorì un migliaio di anni fa e poi - a differenza di quella dei vicini Maya - scomparve del tutto, tanto che gli studiosi non le hanno nemmeno ancora dato un nome. Tra le rovine è stato ritrovato anche un deposito di sculture di pietra mai più toccate da quando il sito è stato abbandonato.
Christopher Fisher, un archeologo della Colorado State University specializzato in Mesoamerica che ha partecipato alla spedizione, spiega che il ritrovamento di un sito intatto, mai saccheggiato è "incredibilmente raro". Lo studioso ipotizza che le sculture, nascoste in un deposito segreto alla base della piramide, fossero offerte agli dei: "oggetti di grande valore tenuti fuori dalla circolazione: si tratta di una potente manifestazione rituale". 
Dalla terra spuntavano tracce di 52 oggetti; molti altri sono certamente ancora nel sottosuolo, forse accanto a resti umani. Tra i reperti: seggi cerimoniali di pietra (anche detti metates) e recipienti finemente decorati con serpenti, avvoltoi e figure zoomorfe.
L'oggetto più notevole tra quelli recuperati è la testa di quello che Fischer chiama
un "giaguaro mannaro". Forse rappresenta uno sciamano in uno stato di trasfigurazione indotto da uno spirito, oppure potrebbe essere collegato a uno dei giochi rituali con la palla tipici della Mesoamerica precolombiana. "La figura sembra indossare una specie di casco", dice Fisher. 
Oscar Neil Cruz, archeologo dell'Istituto di Antropologia dell'Honduras (IHAH) e membro del team, ritiene che gli oggetti risalgano a un periodo tra il 1000 e il 1400. Gli oggetti sono stati inventariati ma lasciati sepolti. Per proteggere il sito dai saccheggiatori, la sua posizione precisa per ora non sarà rivelata. 
Le rovine erano state avvistate per la prima volta nel 2012, durante la ricognizione aerea di una valle remota della Mosquitia, una vasta regione di paludi, fiumi e montagne che contiene alcune delle poche aree ancora inesplorate - almeno dal punto di vista scientifico - del mondo. 
Da almeno un secolo che esploratori e prospettori minerari che si erano avventurati in quella giungla raccontavano di aver scorto tra la fitta vegetazione i bianchi bastioni di una città perduta. Anche i racconti delle popolazioni indigene parlavano di una "casa bianca" o di un "posto del cacao" dove i loro antenati si erano rifugiati durante la conquista spagnola: una sorta di mistico paradiso terrestre da cui nessuno era mai tornato. 

Fin dal 1920, diverse spedizioni erano partite in cerca di questa Ciudad Blanca. La più famosa fu promossa nel 1940 dall'eccentrico esploratore Theodore Morde, sotto l'egida del Museum of the American Indian di Washington. 
Morde tornò dalla Mosquitia con migliaia di reperti, sostenendo di essere entrato nella Città Bianca e raccontando che, secondo gli indigeni del luogo, vi era sepolta la gigantesca statua di un dio scimmia. L'esploratore, però, si rifiutò di rivelare la posizione della città per paura dei saccheggiatori. Qualche anno dopo si suicidò, e il sito - se davvero l'aveva scoperto - non fu mai ritrovato. 
Più di recente, i registi di documentari Steve Elkins e Bill Benenson si sono messi in cerca della città perduta, ipotizzando che potesse trovarsi in una valle a forma di cratere, circondata da ripide montagne. 
Per effettuare la ricognizione aerea hanno ottenuto la collaborazione del Center for Airborne Laser Mapping della University of Houston. Un Cessna Skymaster, fornito di uno scanner Lidar da un milione di dollari, ha sorvolato la valle gettando una luce laser sulla volta arborea. 

La tecnologia Lidar - “Light Detection and Ranging” - è in grado di mappare un territorio anche se coperto da una densa foresta pluviale, delineando le tracce di eventuali strutture archeologiche presenti. Una volta lavorate, le immagini hanno mostrato conformazioni innaturali presenti su una lunghezza di circa un chilometro e mezzo nella valle. Dall'analisi delle immagini Fisher si è accorto che il terreno lungo il fiume era stato modificato artificialmente. Erano visibili tracce di strutture pubbliche e cerimoniali, di giganteschi lavori di sterro e terrapieni, e forse anche di canali d'irrigazione e laghi artificiali: Fisher ne ha dedotto che quell'insediamento doveva davvero essere una città precolombiana.
Ma una scoperta archeologica non può essere confermata senza una verifica sul campo. Alla spedizione hanno partecipato archeologi honduregni e statunitensi, un tecnico Lidar, un antropologo, un etnobotanico, alcuni documentaristi e il personale di supporto. Sedici soldati delle forze speciali honduregne hanno provveduto alla sicurezza. 
La spedizione ha confermato sul campo tutte le caratteristiche scoperte dalle immagini Lidar, e molto di più. Tuttavia gli archeologi non credono più alle leggende che parlano di un'unica Ciudad Blanca perduta. Ritengono invece che la Mosquitia nasconda parecchie città del genere, che tutte insieme rappresenterebbero qualcosa di ben più importante: un'intera civiltà scomparsa.
La valle è fittamente ricoperta da una foresta così primitiva che gli animali si comportano come se non avessero mai visto esseri umani prima d'ora. I membri della squadra andata in avanscoperta per aprire una radura dove potessero atterrare gli elicotteri hanno visto scimmie ragno che si affacciavano curiose dagli alberi, e un tapiro e un gallo selvatico che si avventuravano senza paura nell'accampamento. 
"È sicuramente la foresta pluviale più intatta dell'America Centrale", dice Mark Plotkin, l'etnobotanico della spedizione, che ha passato 30 anni in Amazzonia. "È un luogo di importanza eccezionale".
Ma si tratta anche di una regione gravemente minacciata. A meno di una ventina di chilometri dalla valle, ampi tratti di giungla sono stati disboscati e incendiati illegalmente per far posto agli allevamenti di bestiame: la zona è ormai la maggiore area di produzione di carne bovina dell'America Centrale, e rifornisce anche diverse catene di fast food statunitensi. 
Virgilio Paredes Trapero, direttore dell'IHAH, l'istituto sotto i cui auspici si è tenuta la spedizione, conclude: "Se non agiamo subito, gran parte della foresta e della valle sparirà nel giro di otto anni. Il governo dell'Honduras vuole impegnarsi per proteggere la zona, ma non ha abbastanza soldi. Abbiamo urgente bisogno di aiuti internazionali".
Oltre che dai possibili saccheggiatori, il sito appena scoperto è minacciato anche dalla deforestazione:  questa collina è stata disboscata per far posto agli allevamenti di bovini. Ai ritmi attuali, la deforestazione potrebbe raggiungere la "valle perduta" nel giro di pochi anni.


Fonte:  http://www.nationalgeographic.it

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