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lunedì 1 giugno 2015

Archeologia. In Toscana la farina più antica del mondo, databile al 30.000 a.C.

Archeologia. In Toscana la farina più antica del mondo, databile al 30.000 a.C.
di Alice Danti

                                    
La farina più antica del mondo è stata scoperta in Toscana. La scoperta, che rivoluziona le conoscenze sugli uomini del Paleolitico e sulla loro alimentazione, è stata presentata qualche giorno fa a Firenze, durante l'evento intitolato “La prima farina in Toscana - Alle origini dell'alimentazione”.

A metà degli anni Novanta, durante gli scavi dell’insediamento paleolitico di Bilancino, nel Mugello, gli archeologi ritrovarono una macina di pietra e un pestello. Il reperto non venne lavato e fu così possibili sottoporlo ad analisi più approfondite. L’analisi al microscopio elettronico rivelò la presenza sulla superficie di tracce di amido che furono datate, con il metodo del radiocarbonio, a 30 mila anni fa. Non si sapeva però a quale piante appartenessero quei resti di amido. Recentemente, grazie agli studi condotti dal Dipartimento di Biologia Vegetale dell'Università di Firenze, è stato possibile identificare amidi di varie piante, in particolare di tifa, una piante palustre molto comune. Questa pianta in passato veniva utilizzate 
per fabbricare sporte e panieri, e in alcuni paesi i suoi rizomi venivano usati anche per scopi alimentari.
Dopo questa la scoperta gli studiosi hanno provato a cucinare delle gallette con la farina di tifa. Hanno raccolto dei rizomi, li hanno fatti seccare e poi macinati. Con la farina hanno impastato delle semplici gallette, che sono state poi
cotte su un focolare simile a quello trovato nel sito di Bilancino.
Le responsabili dello studio, Biancamaria Aranguren della Soprintendenza Archeologica della Toscana e Anna Revedin dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, hanno spiegato che “per la prima volta, Homo sapiens aveva a disposizione un prodotto elaborato facilmente conservabile e trasportabile, ad alto contenuto energetico perché ricco di carboidrati complessi, che permetteva una grande autonomia soprattutto in momenti critici dal punto di vista climatico e ambientale”.
Si è sempre creduto, infatti, che gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico superiore fossero essenzialmente carnivori. “La scoperta di Bilancino rappresenta, invece, la prima e più antica testimonianza diretta non solo dell'uso alimentare delle piante ma soprattutto di una vera e propria 'ricetta' per la preparazione di un cibo di origine vegetale”, ha commentato Anna Revedin. La ricerca dimostra inoltre che l’abilità di ricavare delle farine era già ben presente in Toscana, migliaia di anni prima della nascita dell’agricoltura e dell’uso delle farine di cereali documentate a partire dal Neolitico in Medio Oriente.
Bilancino era un accampamento stagionale che veniva frequentato d’estate, quando era possibile raccogliere le piante palustri. Gli archeologi hanno ricostruito l'organizzazione interna dell'insediamento, identificando focolari, capanne, spazi adibiti alle attività quotidiane (preparazione del cibo, lavorazione delle pelli) e ad attività specifiche (lavorazione delle piante palustri, produzione di strumenti in pietra), e infine spazi dedicati all'accumulo di rifiuti.
Dopo la scoperta di Bilancino, sono arrivate da tutta Europa delle nuove conferme sull’uso di macine per la produzione di farine alimentari. L'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria ha infatti avviato un progetto di ricerca intitolato “Le risorse vegetali nel Paleolitico”, con l’obiettivo principale di verificare se le tecniche di macinazione di vegetali documentate a Bilancino fossero un patrimonio comune dell'umanità di 30 mila anni fa. “Di solito queste pietre, poco appariscenti", spiega Revedin, "vengono raccolte ed esaminate rapidamente alla ricerca di tracce di incisioni, spesso anche lavate con il risultato di una perdita quasi completa della possibilità di trovare microresidui”.
La ricerca ha dato ottimi risultati: sono stati trovati e analizzati altri strumenti per la macinazione, provenienti dai più importanti siti europei della stessa epoca di Bilancino: Pavlov e Dolni Vestonice nella Repubblica Ceca, Kostenki nella pianura del Don in Russia. ll ritrovamento più recente è stato recentemente pubblicato e riguarda la Grotta Paglicci in Puglia, dove è stato rinvenuto un pestello con tracce vegetali.
I quattro nuovi insediamenti paleolitici analizzati ricoprono una vasta area geografica che va dall'Italia meridionale fino alla Russia. “Questa tecnologia per la produzione di farina", ha detto ancora Revedin, "sembra quindi indipendente dai climi e dagli ambienti diversi nei quali vivevano i primi sapiens europei. In base allo studio dei granuli di amido ritrovati su queste pietre si è visto che veniva sfruttata una grande varietà di vegetali per la produzione della farina utilizzando differenti porzioni delle varie specie: radici, rizomi, grani e semi. Le farine ottenute probabilmente erano un po' diverse da quelle che si ricavano oggi dai cereali: erano ricche di fibre e carboidrati complessi, ma prive di glutine”.
Secondo gli autori dello studio, che è stato pubblicato sulla rivista Quaternary International, la presenza prolungata nella dieta umana, almeno fino al neolitico, di una discreta quantità di carboidrati complessi privi di glutine e ad alto contenuto di fibre potrebbe aver avuto una notevole influenza nel patrimonio genetico umano. Questo è particolarmente evidente anche oggi, vista la diffusa difficoltà di adattamento alle nuove farine introdotte dopo il Paleolitico,  come suggeriscono l’intolleranza al glutine e le malattie dismetaboliche.


Fonte: www.nationalgeographic.it

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