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sabato 16 agosto 2014

Sardegna, archeologia sperimentale. Domani sera in Ogliastra sarà realizzato un bronzetto nuragico con la tecnica della fusione a cera persa.

Sardegna, archeologia sperimentale. In Ogliastra sarà realizzato un bronzetto nuragico con la tecnica della fusione a cera persa.


Domenica 17 Agosto, con inizio intorno alle 21.30, il lido di Cea (di fronte ai faraglioni di Tortolì) ospiterà i maestri della fusione a cera persa per uno scintillante spettacolo notturno nell’incantevole scenario balneare della baia che sarà illuminato dal fuoco prodotto dalla fornace.

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L’Associazione “Sulle tracce di Dan” realizzerà il bronzetto nuragico nella foto con la tecnica della fusione a cera persa. Lo spettacolo sarà arricchito da una relazione di Pierluigi Montalbano che illustrerà le varie fasi del procedimento metallurgico e racconterà la storia dei metalli in Sardegna.
I giorni scorsi la manifestazione è stata apprezzata a Talana,  Jerzu e Santa Maria Navarrese, davanti a un caloroso pubblico incantato davanti agli sbuffi di fuoco prodotti dalla fornace azionata dai mantici dei maestri fonditori Andrea e Gianni. Vedere all’opera questi artigiani del bronzo che adoperano strumenti identici a quelli di 3000 anni fa, per realizzare i gioielli oggi esposti nelle vetrine dei musei di tutto il mondo, è un avvenimento imperdibile. Si raccomanda la massima partecipazione con macchine fotografiche nel momento di colata del bronzo fuso dal crogiolo allo stampo, un istante di alchimia che vede il fuoco protagonista principale.
L’archeologia sperimentale non pretende di dimostrare alcunché, ma fornisce uno strumento attraverso il quale è possibile valutare nel loro sviluppo e significato alcune delle attività economiche fondamentali dell'uomo antico, in primo luogo la sussistenza e la tecnologia. Consente, inoltre, di sottoporre a ulteriore verifica ipotesi e modelli, tanto nel campo della tecnologia produttiva che in quello dei processi formativi. La Manifestazione in programma Domenica 17 sarà allietata dalle musiche di Alberto e il momento più intenso sarà quello della colata del bronzo nella matrice contenente la cera sagomata con la forma del famoso bronzetto della Dea Madre benedicente che tiene in braccio il futuro sovrano della comunità. Molti studiosi si sono cimentati nell’interpretazione dei bronzetti, sempre nel campo di ipotesi soggettive perché si tratta di oggetti artistici. Per capire l’ideologia dei nuragici  occorre anzitutto sgombrare il campo da false verità: nulla è stato trovato scritto su questi preziosi reperti (quindi nessuno ha la verità in tasca) e bisogna affidarsi all'intuito, esaminando con estrema attenzione l’oggetto per  catturare visivamente ogni più piccolo dettaglio. 

Gli elementi concreti a nostra disposizione sono la donna, il bambino che si affida alle sue braccia, il trono, il pugnaletto tipico nuragico e il vestiario dei due personaggi. Personalmente, ritengo che la donna possa essere la Dea Madre, colei che da la vita, la massima divinità delle culture antiche. Il bimbo è forse suo figlio, o comunque un importante e nobile maschietto, dotato di un segno di potere (uno scettro) che lo distingue dagli altri membri della comunità. Il trono potrebbe essere la testimonianza concreta del ruolo della donna: il capo religioso della comunità, il massimo punto terrestre dell'unione fra comunità e divinità, la porta che separa il mondo dei vivi da ciò che sta nell'alto dei cieli, l'unica creatura in grado di garantire la sopravvivenza della specie, colei che da la vita e ci protegge. Per quanto riguarda il vestiario, concordo con altri studiosi che ritengono il mantello un tipico capo d'abbigliamento dei sacerdoti e delle sacerdotesse, quindi un segno distintivo di chi incarna la religiosità all'interno della comunità. E poi...c'è quel gesto benevolo di saluto, quella mano sollevata ma non minacciosa, quel rassicurante messaggio di pace che chiude il cerchio sulla funzione della donna e suggerisce serenità.

Dopo l’età della pietra, l’invenzione delle tecniche metallurgiche migliorò notevolmente le condizioni di vita degli uomini preistorici. Prima dell’invenzione delle tecniche fusorie, in alcune regioni asiatiche si utilizzavano i metalli allo stato nativo (in particolare oro, rame, argento e ferro meteorico) che venivano lavorati a freddo, soprattutto a martellatura, per ottenere piccoli utensili o oggetti d’ornamento come ami o spilloni. Questo tipo di produzione è noto in Persia e nel Vicino Oriente fin dal VII millennio a.C.
La metallurgia più antica è quella del rame, attestata dalla metà del IX millennio a.C. nella regione fra Anatolia e Afghanistan. Il bronzo è una lega di rame e stagno (in rapporto di 9:1) che offre numerosi vantaggi per quanto riguarda sia la lavorazione sia le qualità del prodotto finito. E’ stato osservato che anche agli inizi si adoperava rame contenente un’alta percentuale di arsenico come impurità naturale, più facile da lavorare e più resistente.
I più antichi processi erano semplici e si praticavano in rudimentali forni fusori, utilizzando carbone di legna e immettendo ossigeno forzatamente con dei mantici. Il metallo ottenuto conteneva impurità naturali, soprattutto perché le forme di fusione erano aperte. Più tardi le matrici bivalvi divennero la regola e alcuni casi di adozione della tecnica della cera persa, che utilizza una forma di fusione chiusa, sono documentati in figurine di animali di rame, oro e argento trovate nelle tombe reali di Alaca Hoyuk, in Turchia, datate verso la fine del III millennio a.C.
In Mesopotamia dal V millennio a C. e in Egitto dal IV Millennio, la fusione dei metalli giunse nelle culture greche del Mar Egeo nella fase iniziale dell’Elladico Antico (3300-2900 a.C.), testimoniata a Lerna e nel Peloponneso da un’industria metallurgica fiorente. In Europa i centri più importanti si collocano già nel 3000 a.C. nelle regioni ricche di giacimenti minerari, ad esempio la Transilvania e la Penisola Iberica. La metallurgia del ferro, invece, risale all’inizio del I Millennio a.C., anche se questo metallo era già noto da tempo. Il bronzo fu così a lungo preferito perché la lavorazione del ferro è più difficile a causa del suo più elevato punto di fusione rispetto al rame e alle sue leghe. Non potendo modellarlo per mezzo di forme di fusione, gli artigiani del XII secolo a.C. lo forgiavano e tempravano per ottenere quel grado di resistenza che rende armi e strumenti di ferro molto più efficienti di quelli di bronzo.

In quel periodo, la metallurgia del ferro era praticata dagli Ittiti e, dall’XI a.C. in Grecia, con armi e strumenti che sostituiscono quasi del tutto quelli di bronzo. In Sardegna il ferro non conosce una vera e propria diffusione prima del IX a.C., ma rapidamente la nuova tecnica metallurgica conquistò le varie regioni europee, probabilmente proprio grazie all’influenza dei sardi e degli etruschi.

Nelle immagini, da sopra:
La locandina
Il bronzetto da realizzare
Il bronzetto originale del museo

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