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martedì 5 agosto 2014

Lo scandaloso stato di abbandono del Museo Archeologico di Cagliari

 Lo scandaloso stato di abbandono del Museo Archeologico di Cagliari
di Fabristol

Quando uno dei relatori di una recente conferenza sui giganti di Mont’e Prama a Cagliari (sui giganti ne parlerò più estensivamente nei prossimi giorni) ha raccontato di un episodio in cui un non sardo si meravigliava dell’esistenza della cultura nuragica la platea ha mugugnato in segno di indignazione. Quante volte ho visto l’indignazione sul viso del sardo che con quella smorfia bacchetta il resto del mondo per l’ignoranza sul periodo nuragico. Come può la gente non sapere dell’isola delle 7000 torri di pietra? Come può la storiografia far finta che qui in questa terra in mezzo al Mediterraneo un popolo “fiero e combattivo” viveva e costruiva una civiltà ben 700 anni prima della fondazione di Roma? Un complotto ordito dal continente, evidentemente. Forse io in quella platea sono stato l’unico a non essermi sorpreso. Al contrario tra me e me mi chiedevo come una persona che viene fuori dalla Sardegna (e non sa neppure che esista nelle cartine geografiche) possa sapere della civiltà nuragica. Come si può infatti pretendere che un “continentale” sappia cose che neppure il sardo conosce? Nessuno in quella sala (a parte l’archeologo, ma avrei i miei dubbi anche su questo) avrebbe saputo rispondere correttamente a domande basilari che riguardano il periodo storico in cui la civiltà nuragica si sviluppò, il rapporto con gli altri popoli del Meditarraneo o le divinità che veneravano (giusto per menzionare quelle più facili). In un’isola di opposti estremismi come la Sardegna l’ignoranza del proprio posto nella storia è la norma. Il sardo non sa nulla di se stesso, della sua lingua, della sua cultura. Li adotta e ne va fiero per motivi nazionalistici ma non ne capisce appieno l’importanza e il perché. Il sardo avrebbe potuto ereditare tratti somatici balcanici, parlare una lingua turkmena, adorare divinità indù ma questo non avrebbe fatto alcuna differenza. Li avrebbe adottati comunque senza capire il perché di quel mix così inusuale in mezzo al Mediterraneo. Come ci si può stupire allora dello straniero che non conosce la storia della Sardegna?
Mi dovete scusare per il lungo preambolo “antropologico”, se mi passate il termine, ma mi serviva per introdurre emotivamente (e per caricare il sottoscritto emotivamente) un tema, ahimè, serissimo: il vergognoso stato dell’archeologia isolana, dei suoi musei e delle esibizioni museali. Lo scandalo in particolare riguarda il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Scandaloso perché? Perché dovrebbe essere un gioiello museale da far invidia al mondo per le sue ricchezze e i suoi manufatti ma si trova in condizioni disastrate complice l’indifferenza del mondo accademico isolano e nazionale, la stampa e la politica. Non mi aspetto che un politico o un giornalista riescano a cogliere i problemi della sfera prettamente archeologica ma almeno si rendano conto delle mancanze organizzative. I problemi infatti sono due: il primo riguarda la struttura stessa e i (non) servizi erogati; il secondo le scelte espositive, le imprecisioni e l’anacronismo delle esposizioni soprattutto dopo alcune recenti scoperte. Le due problematiche non sono poi così slegate tra loro visto che sono sintomo di una generale ignoranza di chi prende le decisioni dall’alto in enti pubblici. Un’ignoranza collegata al preambolo di prima, ovvero il sardo non ha alcuna idea di cosa ha a che fare quando si trova in mano la sua storia anche sotto forma di manufatti archeologici.

Primo, struttura e servizi: dopo anni di onorato servizio in uno dei palazzi storici più belli di Castello (ora in rovina e abbandonato) il museo archeologico fu spostato all’interno dell’ex-Regio Arsenale per costituire insieme al MAS e alla Pinacoteca [*] un polo museale unico. Una bella idea non c’è dubbio, ma progettata malissimo. Il Museo archeologico infatti è incastonato tra le mura del bastione nord e si dipana tra scale, scalette tra mille piani, sottopiani e mezzanine che rendono il percorso… impercorribile. Infatti non esiste un inizio e una fine obbligatori ma un labirinto senza senso che forza il visitatore a continui giri su stesso, retromarce e dubbi. I visitatori non sanno dove andare, si chiedono “siamo già passati qui?”, “Ah, questo non l’avevo ancora visto!”. Perfino il sottoscritto che l’ha visitato più volte ha dovuto scervellarsi per trovare le sale e i manufatti che gli interessavano.
Sfortunatamente da questo punto di vista si può fare ben poco anche se una riorganizzazione interna delle sale e degli accessi più logica potrebbe aiutare. Vediamo i (non) servizi. Arriviamo alla biglietteria e un anziano custode che parlava solo italiano ci informa che non esiste una guida (questa infatti deve essere prenotata per gruppi grandi). Questo nonostante sia stata appena allestita una delle mostre archeologiche più attese del decennio a Cagliari e di importanza internazionale: i giganti di Mont’e Prama. Al piccolo ma efficiente museo di Cabras, che ospita metà dei 38 giganti, la guida c’era e il percorso era ottimo e ben organizzato. Vabbé, farò io da guida ai miei ospiti visto che mi appassiona la storia fenicia e quella nuragica. Da qui in poi non abbiamo visto un solo addetto del museo. Nessuno, neppure i soliti guardiani annoiati che si leggono il giornale agli angoli delle sale. Chiunque avrebbe potuto rubare, pasticciare, vandalizzare i manufatti senza che alcuno se ne fosse accorto. Io di telecamere e di sistemi di sicurezza non ne ho visto (ma mi potrei sbagliare).
L’inglese, questa lingua sconosciuta, è inesistente. Non una singola targa è stata tradotta, non esistono descrizioni in lingue diversa da quella italiana. Tutta roba scritta negli anni 80 e inizio anni 90 (lo capisci dal font e dal colorito giallastro) in linguaggio supertecnico spesso incomprensibile a un non addetto ai lavori. Questo fantasma che aleggia nelle sale, l’inglese, è così evanescente che nel libro dei commenti/firme all’uscita i poveri turisti internazionali si chiedevano come fosse possibile che nel 2014 un museo di fama internazionale non avesse la traduzione in inglese. Un commento descriveva alla perfezione la situazione: “I didn’t understand a single thing.”. E lo capisci anche dallo sguardo perso nel vuoto dei visitatori stranieri che passavano da una sala all’altra senza alcun input: vasi, cocci, bronzi, statue. Che significato possono avere senza un contesto, senza una storia dietro? Queste persone dopo essere uscite dal museo non avranno capito nulla e non si porteranno nulla dietro. Chi erano i nuragici? Chi erano i fenici?
Bagni? Se non avessi visto una porticina aperta fuori nel cortile (!) da cui si intravedeva un WC non avrei mai visto i bagni, e come me le centinaia di turisti che lo visitano. Pubblicazioni? Cartoline? Idee regalo? Monografie? I musei cadono a pezzi, non abbiamo soldi per i dipendenti ma a nessuno viene in mente di fare uno shop come in tutti i musei del pianeta. Chi volesse avere più informazioni riguardo ai giganti rimarrà deluso. Le cose le potrete sapere dai blog di pochi appassionati su internet senza alcun timbro di ufficialità (poi ci si lamenta degli pseudoarcheologi che tirano fuori Atlantide). Brochure? Per carità! Secondo il sovrintendente in diretta TV alla RAI ci sono stati problemi tecnici nella stampa. Eh già, il toner da cambiare è un problema così difficile da affrontare.
Il secondo problema, più grave, riguarda i curatori del museo. Il museo non è diviso in periodi storici ma in suddivisioni territoriali della Sardegna. E così ti ritrovi nella stessa vetrina manufatti prenuragici, nuragici, fenici, romani e via dicendo senza alcun nesso logico. Questa scellerata scelta organizzativa rende la mostra confusionaria e completamente inutile. Che senso ha associare una freccia prenuragica di bronzo con la dea Tanit e una moneta romana solo perché si trovavano tutti e tre nel territorio del Sarrabus? Il museo è anche, e soprattutto, un luogo di didattica e non si può prescindere da una esposizione che rispetti la logica temporale. Fai un piano con i manufatti nuragici, una con quelli fenici, una con quelli romani. La maggior parte delle persone non ha gli strumenti per capire la differenza tra le tre, soprattutto un turista che non sa nulla della storia del Mediterraneo e dell’isola. I turisti passavano davanti alle vetrine – alcune semivuote! – senza comprendere davanti a cosa stavano camminando. In aclune vetrine al posto di un manufatto facevano bella mostra fogliettini scritti a mano (vedi foto) con su scritto frasi del tipo “Da Pani Loriga sono stati prelevati per foto, 13.0.11.”. Il signor Loriga li sta fotografando da 3 anni. Sicuramente quello era l’unico documento “ufficiale” che attestava il prestito, semmai ritornerà al suo posto. Incredibile.
Per fare un elenco dei manufatti più importanti al museo relegati a vetrine di secondo piano, perfino in angoli seminascosti non basterebbero le pagine di questo post ma vi basti sapere che al Museo di Cagliari esiste la Stele di Nora, il documento scritto più antico del Mediterraneo occidentale e uno dei pochi fenici rinvenuti a ovest di Tiro. Non solo ma il più antico documento dove la parola Sardegna in fenicio SRDN, sia mai stata scritta. Ebbene questa stele si trova in un angolo tra due vetrine senza illuminazione, e con un piccolo poster che ne descrive un sunto della sua storia seminascosto dalla stele stessa. Non esiste neppure una traduzione della stele a disposizione nonostante negli ultimi 30 anni siano state avanzate più interpretazioni.
Vogliamo parlare della maschera ghignante, simbolo della Sardegna fenicia? Un pezzo, forse, di iconografia assiro-babilonese acquisita dai fenici e che alcuni studiosi pensano sia all’origine del detto “sorriso sardonico”? Questa meravigliosa maschera, uno dei simboli del museo è relegata all’interno di una vetrina semivuota e con una illuminazione penosa e con uno sfondo fatto di compensato. La grande collezione di tophet, seconda solo a quella di Sant’Antioco, sculture di Tanit, due enormi statue di Bes, la collana fenicia in vetro colorato che vedete nella foto del post, gli ori e le pietre preziose egizie di importazione sempre fenicia: tutto questo senza alcun risalto, senza una corretta esposizione (e forse neppure un allarme). Tralasciando i giganti di cui parlerò un altro giorno, ci sono reperti nuragici di una importanza eccezionale (tutti trafugati ai musei locali ma forse era meglio lasciarli ai piccoli musei dei paesi se questo è lo stato in cui devono essere esposti). I bronzetti nuragici, la più grande collezione di bronzetti al mondo, sono ammucchiati alla bell’e meglio su un paio di vetrine ma poiché sono disposti in gruppi, non in file, alcuni nascondono altri e il fatto che siano esposti a livello più basso non aiuta di certo l’osservazione dei particolari. Tra questi l’eroe dai quattro occhi e quattro braccia è sicuramente il più importante ma di nuovo, invece di essere esposto da solo in primo piano è ammucchiato insieme a tutti gli altri.
Potrei continuare all’infinito (che dire delle meravigliose statue votive in terracotta con serpente avvolto al corpo del tempio di Esculapio, o le decine di mani in terracotta votive?) ma vorrei che la gente ci andasse al museo di Cagliari per essere coscienti dello scandalo frutto di decisioni mediocri di persone mediocri (e scrivetelo sul libro dei commenti!). E visto che siete lì date uno sguardo verso l’alto tra le varie scalinate e vedrete decine di casse e sculture in pietra ammassate in un piano rialzato. Forse è uno di quei magazzini dove i giganti di Mont’e Prama sono stati buttati per 40 anni senza che nessuno sapesse di questo tesoro.
[*] A dicembre durante la Notte dei Musei entrai a vedere la Pinacoteca. Nonostante fuori ci fossero 15 gradi (l’inverno sardo è notoriamente rigido e miete vittime nelle migliaia) quando vi entrai una vampata di calore e di umidità mi investì. Quando commentai con il bigliettaio che non mi sembrava opportuno tenere temperature e umidità così elevati con tavole e trittici del ‘400 questi fece spallucce dicendo che lui aveva freddo.

Fonte: http://fabristol.wordpress.com/


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