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lunedì 13 gennaio 2014

Preistoria: le ricche genti della cultura del Vaso Campaniforme.

Le ricche genti della cultura del Vaso Campaniforme.
di Pierluigi Montalbano


Il più interessante fenomeno culturale che offre l’Europa preistorica è costituito da un apporto iberico giunto miscelando le culture megalitiche pirenaiche e nord europee. Il nome viene dalla forma di un bicchiere (beaker) a forma di campana con profilo a volte dolce (suave degli spagnoli) e altre angoloso sopra la base, convessa nel primo tipo e piatta nel secondo, come rilevato anche nei vasi coevi.
I prototipi di queste forme appaiono in Egitto all’inizio del V Millennio a.C. (cultura tasiense) ma nel Vicino Oriente sono testimoniati esempi del XIX a.C. a Biblos e Gaza (Palestina) nella corte di Amènemhat III e IV, foggiati nelle due versioni suave e spigolosa. Anche in alcuni dipinti persiani (Tépé Giyan, Tépé Djamshidi, Tépé Bad-Hora) di inzio II Millennio a.C. sono rappresentati vasi tripodi decorati a fasce sovrapposte, ornati in maniera identica a quelli occidentali iberici. Probabilmente la forma del beaker si irradia dall’Andalusia orientale (Carmona) e giunge rapidamente in tutta la Spagna e il Portogallo, per poi spingersi per mare e per terra dall’Atlantico alla Russia (Kiev), dalla Sicilia alla Finlandia. Questo fenomeno globale di diffusione è secondo, in tempi antichi, solo alla ceramica che prende il nome di terra sigillata romana.
Un indizio dell’origine delle prime genti del campaniforme è fornito dall’aspetto morfologico, decisamente brachicefalo, differente dalla tipologia mediterranea coeva che mostra la prevalenza netta di dolicocefali. E’ interessante notare che sulle sponde del Mar Nero e del Mar Caspio è presente un ceppo brachicefalo armenoide, e la presenza di beaker nei livelli archeologici persiani suggerisce un’irradiazione antichissima da quelle zone.

I defunti sepolti in Europa centrale sono caratterizzati da grande taglia, testa rotonda e occipite appiattito, ma in Sardegna abbiamo una decisa prevalenza di dolicomorfi, pertanto nell’isola è arduo riconoscere una tipologia etnologica del gruppo beker che si sovrappone ai locali.
Le genti campaniformi collocano i loro morti in tombe già esistenti, forse barattandole dai locali, salvo le deposizioni in grotte naturali, sempre disponibili.
Non manca nell’isola un ceppo umano di tipo brachicefalo armenoide, ad esempio nella necropoli ipogeica Anghelo Ruju, abbiamo una minoranza di queste sepolture (20%), rispetto ai dolicocefali mediterranei (80%). Il rituale funerario sembra essere in prevalenza quello della sepoltura singola primaria, con defunto disteso e supino, pur se a Padru Jossu si assiste a un seppellimento collettivo. A volte, gli elementi del contesto vascolare campaniforme compaiono in associazione con suppellettile indigena, ad esempio nella grotta Filiestru e in una capanna di Monte Olladiri abbiamo cuencos suavi insieme a beaker decorati finemente con linee e angoli punteggiati (stile marittimo, il più antico).
Questi esempi suggeriscono l’apprezzamento da parte delle genti Monte Claro dei pregevoli prodotti dei commercianti campaniformi, giunti in Sardegna per scambiare quei prodotti metallici standardizzati, pugnali in rame e belle ceramiche che si trovano, in associazione, anche nei villaggi e nelle tombe di popolazioni di culture diverse di tutta Europa.
In Sardegna conosciamo 36 località interessate alla presenza di ceramica campaniforme, con punte nell’algherese e sassarese (34%) e nel Sulcis-iglesiente (20%). I reperti provengono quasi totalmente da contesti tombali: da ipogei (52%), da grotte (20%), da tombe a cista litica (22%). Il restante 6% da dolmen e altri contesti sopraterra.
Per quanto riguarda gli insediamenti, abbiamo una perfetta integrazione progressiva di piccoli gruppi negli abitati più estesi della cultura di Monte Claro. Ciò suggerisce che le genti del campaniforme si appoggiavano ai villaggi come commercianti, spostandosi sul territorio per smerciare vasi, oggetti metallici e gioielli.

Nell’attrezzatura delle genti campaniformi compare sempre una caratteristica arma dell’industria litica: la punta di freccia. Erano certamente specialisti nel tiro con l’arco, e nel loro armamentario non poteva mancare la placchetta litica perforata (mai in osso) funzionale alla protezione del polso quando la corda tesa dell’arco ritornava dopo aver scoccato la freccia. I brassard hanno la faccia inferiore piatta in modo da aderire alla parte interna del polso e la superiore leggermente convessa per smorzare il colpo di corda. Queste protezioni erano montate con legacci su cuoio imbottito, e si conoscono reperti decorati con cerchielli concentrici disposti in varie fila. Le varietà di placchette sarde sono presenti in tante altre regioni di diffusione del beaker: Paesi iberici, Corsica, Baleari, Francia, Svizzera, Inghilterra, Italia settentrionale, Sicilia, Cecoslovacchia, Macedonia orientale, Creta, Cilicia. Soprattutto il Midi francese mostra analogie con i brassard sardi.
Fra gli oggetti in metallo, in Sardegna si nota l’assenza dell’oro mentre nel resto d’Europa c’è profusione di perle, bottoni con perforazione a V d’oro, tortillons e parure di gioielli abbinati ad abiti sontuosi e a guarnitura d’armi. Nell’isola è frequente, invece, la comparsa di armi e utensili in rame, soprattutto il tipico pugnaletto a lama triangolare a margini dritti, con fori per saldare (con fusione e martellatura) il manico alla lama, rilevata nel mezzo e assottigliata nei bordi per non piegarsi e ferire di punta e di taglio. La produzione locale di pugnaletti sardi è notevole, dovuta alla presenza di giacimenti importanti di rame, e la loro diffusione giunge fino al Mezzogiorno francese, nelle terre del Reno inferiore, nella zona di Brescia (Santa Cristina), nel nord della Francia (Wollers), nei Pirenei spagnoli e in altri siti.
I ramai sardi erano certamente apprezzati fra le genti del campaniforme e non è raro trovare centri artigianali metallurgici nel sud della Francia (cultura di Fontbouisse) e altre zone europee con tracce evidenti delle tipologie lavorate in Sardegna. E’ verosimile che la direttrice di quelle forme parte proprio dalla Sardegna, vista la profusione di materiali scavati nell’isola e la presenza di ricchi giacimenti, secondi nel Mare Mediterraneo solo a quelli dell’isola di Cipro.

Altri oggetti interessanti sono punteruoli, lesine in rame, spilloni, braccialetti, anelli e pendagli di fabbricazione campaniforme e Monte Claro, e le tipologie suggeriscono contatti con la Francia, la Spagna e il Nord dell’Italia. E’ proprio nel tempo della corrente campaniforme che in Sardegna, come in Francia e altrove, si osserva quella moda di caricasi di monili e ninnoli per cui si è parlato di un’età delle perle, con botteghe di gioielli in oro, argento, rame e ambra graditi per il fascino dell’ornamento e per il legame magico che l’uomo e la donna gli attribuivano. I defunti erano ornati con l’abbigliamento più fastoso che avevano portato in vita, con diademi, collane, cinture, guarnizioni dell’abito e monili. Le parure delle donne significavano bellezza e attrazione in vita, ma si portavano dentro tutta la forza di magia difensiva del corpo e dello spirito nel momento del trapasso.
Fra gli elementi ornamentali abbiamo pendenti a crescente lunare e a doppia ascia, lamelle a semiluna ritagliate da valve, dischetti di conchiglia, canini di volpe, lumachine terrestri, zanne di cinghiale, denti umani, gioielli in rame e argento e, soprattutto, bottoni in osso con perforazione a V, della stessa tipologia di quelli presenti nelle alee couverte di ambito francese.
In Sardegna, come in Europa, è il quadro ceramico a rivelare la vera identità di questa corrente culturale. Il segno tipico è il vaso a forma di campana rovesciata, decorato finemente a punta di pettine. Il beaker spigoloso e quello sinuoso (suave) sardi appartengono al più antico stile marittimo, quello portoghese e andaluso, presente anche nel gruppo brettone in Francia, nel Danubio superiore, nel Reno centrale e nelle aree boema-morava e sassone-turingica. La forma sinuosa sarda è identica a quella dei pirenei iberici, nelle comarcas di Solsona e Bargadà e nell’Alto Ampurdan. Il profilo spigoloso è tipico almeriano (Los Millares) e del Midi francese.
Col trascorrere dei secoli e l’integrazione alle culture locali, queste autentiche forme del beaker perdono la purezza e l’essenzialità del profilo senza anse. Compaiono piccoli boccali panciuti, muniti di ampia ansa a nastro vicino all’orlo, limitata superiormente da appendici. Compaiono beaker a bassa carena con prese orizzontali forate o duplice ansa a gomito rialzato, e ciotole emisferiche (cuencos spagnoli) decorate senza anse. In Sardegna il cuenco è provvisto di piedi (tripodi e polipedi), decorato con sofisticate ornamentazioni sull’intera superficie. Questa tipologia di cuencos con piedi compare anche nell’Europa centrale: Boemia-Moravia, Nez, Slesia e Sassonia. C’è da considerare che i beakers punteggiati, ossia marittimi, sono anteriori ai beakers incisi. Sul vaso sono impressi punti rotondi che formano triangoli, zig-zag, bande rettangolari, catene di rombi e losanghe, chevrons, motivi di dama o scacchiera.
Per quanto riguarda le datazioni, la cronologia C14 riporta il 2700 a.C. per la Cueva Soriana di Somaen (Portogallo), il 2600 a.C. per i materiali di stile marittimo dell’Aude, e circa il 2500 a.C. per quasi tutti gli altri contesti europei. Nei primi due secoli del II Millennio a.C. continuano in Sardegna gli apporti del beaker marittimo e si aggiunge lo stile continentale (inciso), che si mescola completamente e definitivamente con la cultura Monte Claro, dando vita a quella corrente vascolare priva di decorazioni e di eleganza formale che inquadriamo nella fase Bonnannaro, all’alba della Civiltà Nuragica.

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