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venerdì 8 giugno 2012

Sardegna - Manuale di archeologia per dilettanti - 5° dispensa

5° lezione



Dal Neolitico all’Età dei metalli
di Pierluigi Montalbano


Nel processo evolutivo delle comunità protosarde, le miniere hanno esercitato un ruolo decisivo. Nell'Iglesiente sono presenti le strutture geologiche più antiche dell'area mediterranea, per cui la Sardegna è considerata una delle regioni più interessanti d'Europa per ricchezza e varietà di minerali. Già dal Neolitico, le risorse minerarie dell’isola erano oggetto d’interesse da parte di diversi popoli che, dall’Anatolia e da altre regioni del Vicino Oriente, avviavano spedizioni commerciali nel vasto bacino mediterraneo, raggiungendo le estreme regioni occidentali e toccando anche la Sardegna, cuore delle rotte navali fra oriente e occidente. La prima grande risorsa geomineraria a essere sfruttata fu l’ossidiana, un composto di lava vitrea di colore nero intenso e notevole durezza, presente nei vasti giacimenti del Monte Arci, presso Oristano. Fu utilizzata per realizzare armi, utensili e altri oggetti.
Nell'intero bacino mediterraneo, erano presenti appena cinque giacimenti di questo prezioso materiale, tutti in isole: Melos (Egeo), Pantelleria, Lipari (Eolie), Palmarola (Ponziane) e Sardegna. Per millenni questa rara materia prima percorse tutto il Mediterraneo, raggiungendo i mercati più lontani dell'Africa settentrionale, dei Balcani, della penisola Italica, dell'Iberia e della Provenza. Con i moderni metodi di analisi fisico-chimici si scoprì che l'ossidiana sarda dal VI al III Millennio a.C. era esportata in Corsica, nell'isola d'Elba, nell'Italia del nord e nella Francia meridionale dove soppiantò l'ossidiana proveniente da Lipari. Gli intensi rapporti commerciali, e i movimenti di genti all'interno della Sardegna, avevano prodotto sull'isola, già nel neolitico, una vita culturale intensa.
Alle origini, la ricerca dei metalli avveniva sulla base dei colori: azzurro per l’azzurrite e verde per la malachite. L’estrazione dai minerali di rame seguiva le vene superficiali e non raggiungeva grandi profondità. La roccia accumulata e coperta di legna da ardere era spaccata con l’aiuto del fuoco, in modo da recuperare il metallo grezzo, che era poi lavato e separato a mano dalla pietra. Infine era messo in un forno con la legna e i materiali fondenti per facilitare la fluidità del metallo. La temperatura del forno era aumentata mediante ventilazione forzata, soffiandovi dentro con i mantici, attraverso dei manicotti (tuyères) di argilla inseriti nella parete del forno. L’attività legata alla lavorazione dei metalli implicava forti disboscamenti per mettere a nudo le rocce e per ricavarne combustibile.
La più recente delle culture neolitiche della Sardegna porta il nome del suo primo importante insediamento: la grotta di San Michele presso Ozieri. Sebbene ancora neolitica, come testimonia la ricca produzione di strumenti in ossidiana, specie affilate lame di coltelli, cuspidi di frecce, lance e giavellotti, la cultura di San Michele di Ozieri (3200-2850) documenta l'esordio della più antica metallurgia del rame e dell'argento, materie reperibili in abbondanza nei giacimenti minerari dell'isola.
Il Mediterraneo era un bacino culturale all'interno del quale la Sardegna, e le regioni costiere vicine e lontane, svilupparono culture indipendenti e localmente differenziate, ma con svolgimento parallelo delle fasi evolutive essenziali. Gli uomini erano pacifici agricoltori, pescatori e pastori, e vivevano in caverne naturali oppure all'aperto, in villaggi non fortificati che intorno al 3000 a.C. crebbero notevolmente in numero e grandezza. Villaggi con un centinaio di capanne non sono rari, soprattutto nel Campidano. Nei corredi funerari e nei vasi rituali si osserva una tale profusione di elementi decorativi che la loro lavorazione fa pensare a un intenso fervore religioso. Anche gli idoli femminili sono comuni alle culture Bonuighinu, San Ciriaco e Ozieri.



La cultura di Ozieri presenta vasi ricavati da pietre locali (steatite, calcite, clorite), abilmente lavorate, chiari indizi dell'influenza del Mediterraneo orientale. La religiosità della cultura di Ozieri si manifesta soprattutto nelle 3000 tombe rupestri (domus de janas), scavate nella roccia con primitivi picchi da scavo in pietra. Analoghe tombe rupestri a camera sono note per tutto il III millennio a.C. in tutta l'area mediterranea. Presso Arzachena, nel santuario funerario Li Muri, le ciste litiche sono circondate da diversi anelli concentrici composti da lastre più piccole disposte verticalmente. Al margine degli antichi tumuli vediamo altre ciste litiche più piccole per le offerte funebri e numerosi pilastri di pietra (betili), talvolta entro una piccola ghirlanda di sassi. Fra i doni funebri abbiamo asce di pietra levigata, teste di mazza, coltelli di selce e collane. In ognuna delle ciste litiche si trovò di regola un solo defunto, posto in posizione rannicchiata: è possibile dedurne l'esistenza di una struttura sociale aristocratica presso le stirpi dei pastori. L'elemento caratteristico, la cista litica nel tumulo, era diffuso dalla Palestina fino all'area egea e ai Pirenei. Molte di queste perdas fittas, come vengono chiamati in Sardegna i menhir, possono essere attribuite alla cultura di Ozieri. Verso la metà degli anni Settanta sono state ritrovate presso Goni le più spettacolari serie di menhir sarde, pur se la ricostruzione dell’allineamento, coraggiosamente eseguita il secolo scorso, non consente di apprezzarne il significato originario.
Nella grotta di San Michele furono rinvenuti vasi tripodi finemente lavorati con motivi geometrici incisi sull'argilla e colorati con ocra rossa. Nelle pianure e nelle montagne sarde sorgono oltre 200 centri rurali, costituiti da capanne in pietra, con un muro circolare o rettangolare sul quale veniva adagiata una struttura in legno ricoperta di frasche. La mancanza di fortificazioni e la scarsità di armi rinvenute nelle sepolture, lasciano intuire che queste genti coabitavano pacificamente. La religiosità di queste popolazioni era legata alla natura e al culto legato alla fecondità rappresentata dalla Dea Madre, come i loro predecessori neolitici.



L'abbondanza dei prodotti e la mitezza del clima accompagnavano la descrizione dell'antica Sardegna da parte degli scrittori classici. Le fonti letterarie relative alla divinità protosarda Aristeo, raccontano che al tempo dei nuraghi la Sardegna era ricca di olio, latte e miele, ma anche di alberi da frutta delle campagne, del bosco e della macchia. La scoperta dei primi metalli, rame e stagno, indusse l'uomo ad accantonare progressivamente l'uso delle pietre dure. Nel periodo di passaggio dal Neolitico al Bronzo, le armi e gli utensili di rame svolsero un ruolo subordinato in confronto a quelli in pietra, perciò quest'epoca è chiamata Età del Rame. Gli inizi della metallurgia in Sardegna risalgono al periodo della cultura di Ozieri, ma la tecnologia si sviluppò soprattutto nel periodo delle culture di Abealzu, Filigosa e Monte Claro, dove le tracce della lavorazione del rame diventano sempre più frequenti. Si producono anche pugnali che sono colati in forme e induriti a colpi di martello. La prova più antica di una lavorazione locale di minerali di piombo ci è fornita da una ciotola in stile Monte Claro rinvenuta presso Iglesias, aggiustata con graffe di piombo proveniente dai giacimenti di galena situati nei dintorni di Iglesias.
Funtana Raminosa, la più grande miniera di rame della Sardegna, si trova invece nella valle al confine fra il Sarcidano e la Barbagia di Seulo. Sul vicino altopiano, a Laconi, si sono trovate le prime statue-menhir della Sardegna, sulle quali sono raffigurati pugnali di metallo. Sotto alla linea della cintola, spicca un doppio pugnale a lame triangolari con impugnatura centrale. Il tridente rappresentato sul petto dei menhir è fonte d’interpretazioni differenti. Per alcuni studiosi simboleggia una figura umana capovolta: un morto. Per altri si tratta di una protome taurina con un pugnale verticale al centro. La mia romantica visione della civiltà sarda propone per i menhir figurati un connubio fra due divinità: la Dea Madre avvolge tutta la pietra, si notano i lineamenti del viso e il mantello che riveste i lati e la parte posteriore; il tridente è il forcone del Dio del Mare (Poseidone); nella parte bassa del menhir troviamo uno scettro, ossia il potere del sovrano. Si tratterebbe, in sintesi, della raffigurazione del mondo dell’epoca: Dea Madre, Dio del Mare e sovrano che gestisce il potere sotto la protezione degli dei. L'area di rinvenimento delle statue-menhir di Laconi dista meno di 8 km in linea d'aria dai giacimenti di calcopirite, galena e blenda di Funtana Raminosa, nei monti del Sarcidano, lungo il versante occidentale digradante del massiccio delle Barbagie di Belvì e Seulo.
Alla cultura di Ozieri appartengono un pugnale e alcune verghe di rame, portate alla luce in una capanna di Cuccuru Arrius di Cabras e un paio di anelli d'argento dalla tomba V della necropoli di Pranu Muttedu di Goni. L’inizio della metallurgia avvenne contemporaneamente in Sardegna, in Corsica e in Sicilia, dove le prime scorie di rame, ancora aderenti alla parete di un crogiuolo, sono state raccolte nello strato della facies di Diana sull'Acropoli di Lipari.



Alla metà del III Millennio a.C. si arriva alla cultura di Monte Claro che si articola in facies locali: meridionale, oristanese, nuorese e settentrionale. Il patrimonio culturale è ricco ed elaborato, con insediamenti in grotta e all'aperto, deposizioni in tombe a fossa, a forno, a cista e megalitiche, sempre con rito inumatorio. Lo strumentario di selce e di ossidiana è scarso e la fioritura della facies di Monte Claro è forse spiegabile con un’economia agricola in ripresa, con un incremento delle attività pastorali e con l’avvio allo sfruttamento delle risorse minerarie dell'isola che inseriscono a pieno titolo la Sardegna nelle rotte di prospezione mediterranea, innescando un processo economico di vasta portata.
Verso la fine del III Millennio a.C. una nuova cultura, a carattere internazionale, si affaccia nell’isola e in buona parte della penisola italica. Fra i corredi tombali della cultura del vaso campaniforme troviamo oggetti realizzati in una lega di rame e arsenico che presentava un maggiore grado di durezza. Il passo successivo, quello cioè di aggiungere al rame alcune parti di stagno per ottenere un bronzo di durezza notevolmente maggiore, ci è noto in Sardegna solo intorno alla metà del XVII a.C. A questo periodo sono testimoniate una serie di spade triangolari in rame arsenicato, portate alla luce da Ugas in una tomba di Decimoputzu.
E’ ragionevole ritenere che anche nelle isole si sia verificato un radicale cambiamento degli equilibri consolidati che segnò il passaggio dal Neolitico all’Eneolitico. La diffusione del metallo fu la causa della diminuzione d’interesse nei confronti dello sfruttamento e della circolazione dell’ossidiana.


Nelle immagini una serie di ceramiche Monte Claro esposte al Museo Archeologico di Cagliari

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