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domenica 4 marzo 2012

Nuraghi in Sardegna


Nuraghi in Sardegna
di Pierluigi Montalbano


Il numero dei nuraghi è così grande che si fatica a valutarlo; se ne calcolano circa 8000 e nei territori in cui sono più numerosi, per esempio sugli altipiani di Campeda e Abbasanta, distano l'uno dall'altro poche centinaia di metri. Sorgono in aperta campagna, su colline o pendii, a proclamare la pretesa di potenza e di dominio sul territorio. Nella maggior parte dei nuraghi le mura esterne presentano una esecuzione più accurata e rifinita rispetto agli ambienti interni. Frequentemente le torri vegliano insieme su un comune territorio tribale, generalmente caratterizzato da una vallata e dalla presenza di acqua. Furono costruiti anche lungo alcune coste dove costituiscono delle vere e proprie postazioni di sentinella per vigilare sul traffico marittimo: un nuraghe a doppia torre sorge persino sull'isola rocciosa Mal di Ventre nella penisola del Sinis. La posizione strategica della maggior parte dei nuraghi basta da sola a classificarli come opere fortificate idonee al controllo del territorio. Le più maestose strutture a più torri, provviste di cinte murarie, erano circondate da un villaggio di capanne rotonde. Questi palazzi erano idonei alla difesa, alla conservazione e lavorazione delle riserve di viveri, per i lavori artigianali e per il culto della comunità. Possiamo ipotizzare che queste poderose opere fossero una sorta di palazzo principesco al quale erano subordinati vari territori gentilizi o staterelli nuragici, organizzati in leghe che collaboravano per il benessere collettivo. Tecnica costruttoria, storia dello sviluppo architettonico e possibili rapporti fra i singoli nuraghi di uno stesso territorio sono tuttora fonte di interpretazioni e problemi fra gli studiosi.
I protonuraghi o nuraghi a corridoio sono costruzioni in pietra, eseguite con tecniche primitive, attraversate da passaggi o corridoi che formano diversi angoli: la pianta è irregolare, generalmente ellittica o rettangolare. L'elemento distintivo è la netta prevalenza della massa muraria sullo spazio fruibile costituito da celle e corridoi. Gli ingressi, orientati verso sud /sud-est per migliorare l’esposizione alla luce e offrire le spalle al forte maestrale che spazza l’isola, sono di derivazione dolmenica, con grosse pietre sovrapposte a costituire gli stipiti, sormontati da una grande pietra che funge da architrave. Quest’ultima, sporadicamente, presenta nella parte superiore un’apertura, da alcuni erroneamente interpretata come “finestrella di scarico”, ossia una feritoia che alleggerisce il centro del architrave dalla pressione delle masse di pietra sovrastanti, evitando così il pericolo di fratture. In realtà questa funzione è contraddetta dalle forze statiche in gioco. Recentemente alcuni studiosi hanno ipotizzato che l’orientamento di alcuni nuraghe fu ricercato dai costruttori per consentire a queste finestrelle di essere investite dal sole ai solstizi e agli equinozi, proiettando all’interno del nuraghe un fascio di luce che illumina le nicchie della camera all’ingresso. Oltre a ciò, l’immagine proiettata parrebbe legata al simbolo del toro, alla forma della tomba dei giganti e al ventre materno. A volte dal corridoio centrale si diramano dei passaggi ciechi che possono essere rialzati di alcuni gradini. Altri corridoi gradinati possono portare al piano superiore dove generalmente si trova la stanza.
I nuraghi a corridoio presentano alcune affinità architettoniche con certe costruzioni preistoriche delle Baleari e della Corsica chiamate rispettivamente talayots, navetas e torri. All'interno di queste torri circolari veniva lasciato uno spazio a cupola, costituito da corsi di pietre aggettanti che diventavano sempre più stretti.
La tholos è la caratteristica costruttiva che con la sua tipica sagoma conica ricorda lo stile gotico e costituisce la forma fondamentale del nuraghe. Analogamente, i corridoi e le scale sono coperti da una volta ogivale.
Sorprendente è la stabilità di queste costruzioni, attentamente studiate dal punto di vista della statica. Ogni corso di pietre orizzontali forma un campo di forza anulare così che le pietre si impediscono reciprocamente di cadere all'interno nel vuoto della cupola. Ma un tale modello ipotetico è contraddetto da alcuni nuraghi dove nessuno dei corsi orizzontali delle pietre della cupola è rimasto chiuso, ma la volta si regge ancora in piedi pur divisa a metà, come la sezione di un nuraghe tagliato verticalmente dopo che la torre da secoli è in parte crollata, o è stata demolita dalla vegetazione. Ne consegue che la statica delle cupole nuragiche si basa quasi esclusivamente sulla forza di gravità verticale. Per la verità insorgono anche forze di spinta secondarie (forze di coazione, le stesse che agiscono sui muretti a secco che ancora oggi pastori e possidenti terrieri utilizzano per delimitare i confini delle proprietà) che contribuiscono a consolidare la costruzione. Neppure quando il terreno si abbassa leggermente, o alcune singole pietre sotto il peso si incrinano o si spaccano, il nuraghe crolla. Nell'area egea i Micenei eressero fra il 1500 e il 1250 a.C. numerose tombe a tholos, che ci sono note soprattutto per il famoso tesoro di Atreo, la più grande costruzione precristiana circolare a cupola. Tuttavia il confronto è problematico poiché i tholoi micenei sono strutture sepolcrali sotterranee, mentre le cupole nuragiche sono costruite a più piani in superficie. Nel 1985 alcuni archeologi inglesi hanno dimostrato con misurazioni e analisi precise delle strutture murarie, che le costruzioni micenee e quelle nuragiche furono costruite in base a regole empiriche del tutto diverse. Inoltre i bastioni rotondi sporgenti dei palazzi nuragici non trovano alcuna corrispondenza nelle costruzioni micenee. Un dettaglio tecnico, forse da collegare ad una maggior possibilità di difesa, è costituito dai parapetti aggettanti delle torri, che non trovano, per quanto noto, alcuna rispondenza nell'area egea. Consentivano ai difensori del nuraghe una maggiore libertà di movimento e, grazie alla perpendicolarità in parte recuperata, risultava più facile impedire a eventuali ladruncoli di scalare le oblique mura esterne. La loro esistenza è dimostrata dalle mensole di pietra crollate, che arrivano a pesare fino a due tonnellate, in grado di reggere agevolmente un ballatoio in legno. Inoltre la forma è deducibile anche dai numerosi betili-nuraghe ritrovati al centro delle grandi capanne delle riunioni, alcuni dei quali sulla piattaforma presentano una specie di piccola cupola sopra il vano scale. Le grandi torri nuragiche non sarebbero pensabili senza una capacità di progettazione architettonica. Nella società nuragica quindi gli architetti dovevano occupare una posizione importante, come pure i muratori e gli scalpellini specializzati, incaricati di tagliare i blocchi nelle cave, trasportarli per chilometri, adattarli in loco, incuneare negli interstizi pietre più piccole e poi riempire le fessure restanti con pietrame minuto e argilla. Nello spazio fra la torre centrale e le torri collegate, è sempre risparmiato un cortile interno, spesso provvisto di cisterna per l’acqua. I nuraghi più imponenti presentano, oltre la torre centrale e una serie di torri angolari, una seconda cinta muraria. Si tratta di imponenti cittadelle che contavano non di rado anche una dozzina di torri. I lavori di scavo consentiranno a poco a poco di tracciare un quadro più chiaro della vita dei villaggi nuragici. Le capanne rotonde primitive non avevano affatto un aspetto primitivo e inospitale come oggi la maggior parte delle pinnettas, le capanne dei pastori. Al contrario, il pavimento e le pareti erano isolati in modo eccellente contro il freddo, il vento e l'umidità mediante un sistema ben studiato di strati di argilla compressa, di pannelli di sughero, di intonaco argilloso e stuoie intrecciate. Anche il tetto a punta, di rami e pali, aveva di regola un rivestimento di terra argillosa che offriva un modesto comfort alle capanne.

La foto del nuraghe è di Sara Montalbano

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