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lunedì 20 febbraio 2012

Risorse e attività nella Sardegna preistorica


Risorse e attività nella Sardegna preistorica
di Pierluigi Montalbano

L'abbondanza dei prodotti e la mitezza del clima accompagnavano la descrizione dell'antica Sardegna da parte degli scrittori classici. Le fonti letterarie sulla divinità protosarda Aristeo, raccontano che al tempo dei nuraghe la Sardegna era ricca di olio, latte e miele, ma anche di alberi da frutta delle campagne, del bosco e della macchia. Nel Campidano abbiamo attestazioni della vinificazione a partire dal I Ferro, ma brocchette per il vino circolavano già nel Bronzo Recente e forse già da allora fece la comparsa la bevanda inebriante. I Sardi potevano contare, inoltre, su un vasto patrimonio di animali di allevamento e su una ricca fauna venatoria.
Questa ricchezza di cibo permetteva grande disponibilità per l'immediato e riserve per i mesi invernali, con lo stoccaggio di carne trattata con sale, lardo e grasso. Dal mare, dagli stagni e dai fiumi arrivavano nelle case dei villaggi, attraverso gli scambi interni, i pesci e i molluschi, come emerge dai ritrovamenti e dalle prime analisi dei resti ittici. I pesi trapezoidali e le fuseruole, rinvenuti nei villaggi, documentano l'attività tessitoria praticata con grandi telai fin dal neolitico finale.
Dagli animali si ricavavano disponibilità di cibo, pelli, cuoio e di prodotti derivati come coperte, sandali, lacci, fruste e legacci. Il lino sardo era pregiato per candore e lucentezza. Il mantello di lana di pecora, la mastruca di tradizione padronale delle popolazioni dei Balari e degli Iolei delle zone interne, che valse ai Sardi il nome di Pellites, è indossato ancora oggi, privo di maniche, dai pastori.
Il capo d'abbigliamento era indossato anche dai capitribù nelle sculture in bronzo del I Ferro, non infilato, tenuto appoggiato sulla spalla come un grande mantello. Altri capi del vestiario sono distinguibili nella bronzistica figurata degli inizi del I Ferro che documenta molte varianti di copricapi d'uso comune e militare, di gonnellini e tuniche maschili e di vesti e gonne femminili. Non mancavano manufatti come contenitori per derrate della casa e cestini realizzati intrecciando elementi vegetali. Anche i rivestimenti murali delle stuoie erano ricavati da rami flessibili. I ritrovamenti di numerosi attrezzi in bronzo nei contesti nuragici, in particolare scalpelli di varie punte, diversi tipi di accette e il trapano ad archetto, assicuravano su un attivo artigianato del legno fin dal Bronzo Medio. Le grandi foreste e i boschi delle zone interne erano sufficienti per soddisfare il mercato interno, ma alcuni prodotti di alto pregio artistico sicuramente venivano importati.
Con l'incremento della popolazione, il compito della gestione del palazzo-nuraghe, forse sede del capo e di chi rivestiva il ruolo di celebrare le funzioni religiose e civili della comunità, fu probabilmente affidato ad un gruppo limitato di persone ma, in caso di conflitti, tutta la popolazione collaborava. Il ruolo dei guerrieri era determinante per la sopravvivenza delle comunità e i vari gruppi avevano certamente rapporti di parentela con diversi altri nell'ambito tribale, tuttavia ogni comunità godeva di una specifica autonomia che doveva essere gestita nei rapporti con le comunità vicine.
La scoperta dei primi metalli, rame e stagno, indusse l'uomo ad accantonare progressivamente l'uso delle pietre dure. Nel periodo di passaggio dal Neolitico al Bronzo, le armi e gli utensili di rame svolsero un ruolo subordinato in confronto a quelli in pietra, perciò quest'epoca è chiamata Età del Rame. Gli inizi della metallurgia in Sardegna risalgono al periodo della cultura di Ozieri, ma la tecnologia si sviluppò soprattutto nel periodo delle culture di Abealzu, Filigosa e Monte Claro, dove le tracce della lavorazione del rame diventano sempre più frequenti. Si producono anche pugnali che vengono colati in forme e induriti a colpi di martello. Fra i corredi tombali della cultura del vaso campaniforme troviamo oggetti realizzati in una lega di rame e arsenico che presentava un maggiore grado di durezza. Il passo successivo, quello cioè di aggiungere al rame alcune parti di stagno per ottenere un bronzo di durezza notevolmente maggiore, ci è noto in Sardegna solo al termine della cultura Bonnannaro, ossia intorno al XVII a.C. A questo periodo sono testimoniate una serie di spade triangolari in rame arsenicato, portate alla luce da Ugas in una tomba di Decimoputzu.
La prova più antica di una lavorazione locale di minerali di piombo ci è fornita da una ciotola in stile Monte Claro rinvenuta presso Iglesias, aggiustata con graffe di piombo proveniente dai giacimenti di galena situati nei dintorni di Iglesias. (Ugas 2006)
Funtana Raminosa, la più grande miniera di rame della Sardegna, si trova invece nella valle al confine fra il Sarcidano e la Barbagia di Seulo. Sul vicino altopiano, a Laconi, si sono rinvenute le prime statue-menhir della Sardegna, sulle quali sono raffigurati pugnali di metallo. Al di sotto della linea della cintola, spicca un doppio pugnale a lame triangolari con impugnatura centrale. Il tridente rappresentato sul petto dei menhir simboleggia una figura umana capovolta: un morto. L'area di rinvenimento delle statue-menhir di Laconi dista meno di 8 km in linea d'aria dai giacimenti di calcopirite, galena e blenda di Funtana Raminosa, nei monti del Sarcidano, lungo il versante occidentale digradante del massiccio delle Barbagie di Belvì e Seulo.
Alla cultura di Ozieri appartengono anche un pugnale e alcune verghe di rame, portate alla luce in una capanna di Cuccuru Arrius di Cabras e un paio di anelli d'argento dalla tomba V della necropoli di Pranu Muttedu di Goni. (Atzeni 1981). L’inizio della metallurgia si verificò contemporaneamente in Sardegna, in Corsica e in Sicilia dove le prime scorie di rame, ancora aderenti alla parete di un crogiuolo, sono state raccolte nello strato della facies di Diana sull'Acropoli di Lipari. (Thiemme 1980).
E’ ragionevole ritenere che anche nelle isole si sia verificato un radicale cambiamento degli equilibri consolidati che segnò il passaggio dal Neolitico all’Eneolitico. La diffusione del metallo fu la causa della diminuzione di interesse nei confronti dello sfruttamento e della circolazione dell’ossidiana.
Alla metà del III Millennio a.C. si arriva alla cultura di Monte Claro che si articola in facies locali: meridionale, oristanese, nuorese e settentrionale. Il patrimonio culturale è ricco ed elaborato, con numerosi insediamenti in grotta e all'aperto, deposizioni in tombe a fossa, a forno, a cista e megalitiche, sempre con rito inumatorio. Lo strumentario di selce e di ossidiana è scarso e l’eccezionale fioritura della facies di Monte Claro è forse spiegabile con un’economia agricola in ripresa, con un incremento delle attività pastorali e con l’avvio allo sfruttamento delle risorse minerarie dell'isola che inseriscono a pieno titolo la Sardegna nelle rotte di prospezione mediterranea, innescando un processo economico ed evolutivo di vasta portata.

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