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sabato 15 maggio 2010

Sea People - I Dori


I Dori:
Alla morte di Ramesse II era salito al trono suo figlio Mereptah. Nel V anno del suo regno (1220 a.C.), da occidente, i libici insieme ad altre genti sconosciute chiamati Meshwesh (i futuri berberi), dilagano oltre i confini dell'Egitto. Il re dei libici Meriye guida una coalizione di 5 popoli del mare: Shardana, Lika, Ekwesh, Shekelesh e Tursha. Sono gli abitanti delle isole del centro del Grande Verde, i popoli stranieri dell'Haou-Nebout, i precursori del grande movimento migratorio che investirà tutto il Mediterraneo nel 1185 a.C. A cominciare dal re libico, gli invasori portavano con sé l'intera famiglia, il bestiame ed ogni genere di bene, a dimostrare che l'invasione aveva il preciso scopo di trovare nuovi insediamenti. Nell'opera di Breasted leggiamo che i libici affermano: "il fuoco ci ha penetrati, il nostro seme non esiste più, le nostre città sono state ridotte in cenere, devastate, desolate". Ne risulta che non solo la Libia aveva subito un improvviso processo di desertificazione, ma che un tale disastro ambientale si era verificato anche più a ovest nel territorio dei Meshwes, che doveva essere un regno dall'elevato livello culturale se consideriamo il grado di nobiltà attribuito dagli egizi a questo popolo: sia perché Ramesse III si fregia del titolo di "principe dei Meshwesh", sia perché in seguito i principi di questo popolo si integreranno nell'aristocrazia egizia diventando addirittura faraoni con Sheshonk, fondatore della XXII dinastia che conta ben nove faraoni. Gli invasori avevano saccheggiato le fortezze di confine e alcuni di loro erano penetrati anche nell'oasi di Farafra. La battaglia decisiva avvenne in una località detta Pi-yer, nell'interno del Delta. I testi riferiscono che la battaglia durò 6 ore con 6000 libici uccisi e 9000 prigionieri, e riferisce di perdite non numerose inflitte ai popoli del mare, i quali non entrarono in uno scontro con gli egizi, ma si limitarono ad appoggiare le operazioni terrestri capeggiate da Meriye. La Sanders nel 1978 scrisse che agli occhi egiziani questi alleati degli africani, da qualsiasi luogo giungessero, erano tutti dei paesi stranieri del Nord, compresi libici e Meshwesh. Questa alleanza fra tribù della Libia, degli abitanti delle isole e dell'Anatolia è sorprendente. Dalle fonti sappiamo che gli achei sono i più numerosi fra gli alleati di libici.
I Lici erano già conosciuti come popolo pelasgico ed erano stabiliti sulle coste egee dell'Anatolia: le loro incursioni marine come pirati sono testimoniate da una lettera trovata in Egitto a Tell El Amarna, dove il re di Alasya-Cipro lamenta frequenti incursioni dei lupi di mare. Avevano inoltre partecipato a fianco degli Ittiti nella battaglia di Qadesh e si erano battuti a fianco dei troiani della guerra omerica. Lo studioso Gardiner parlando di Ramesse II racconta qualcosa sugli Shardana, affermando che una stele proveniente da Tanis dice che giunsero dal mare aperto con le loro navi da guerra e che nessuno era stato in grado di fronteggiarli. Poco dopo si trovano fra le guardie del corpo del faraone, riconoscibili per gli elmi sormontati da corna, gli scudi rotondi e le grandi spade con le quali sono raffigurati mentre uccidono i nemici Ittiti. In alcuni documenti troviamo molti shardana che coltivano pianticelle in terreni di loro proprietà, avuti come ricompensa dei servizi militari. Erano guerrieri Haou-Nebout del Grande Verde, e si sovrapposero alla civiltà megalitica che da secoli popolava la Sardegna. È testimoniato il sopraggiungere nell'isola di un'elìte aristocratica numerosa dal numero degli imponenti edifici, operante una spinta evolutiva che lascia sbalorditi per le spettacolari monumentali rovine. I complessi nuragici presentano volte a tholos e schemi a megaron, simili ai modelli di Troia e Micene, ma probabilmente sono più antichi. Del culto delle acque ci restano le costruzioni dei pozzi sacri, realizzati con una perfezione tecnica che dimostra capacità architettoniche straordinarie. Le corna taurine che sormontano alcuni luoghi sacri ci riportano al conosciuto culto, mentre nei depositi votivi troviamo oro, argento, ambra, avorio e una evoluta tecnica metallurgica che ci ha lasciato una corposa serie di splendide figure, soprattutto di sacerdoti e guerrieri in tenuta da parata con elmi dalle lunghe corna. Il mondo Egeo, e Creta stessa, saranno sconvolti di lì a poco dalla catastrofe nella quale, al ruolo di primo piano dei popoli del mare, si sovrappone la migrazione dorica, tramandataci dai greci come il ritorno degli Eraclidi. I dori erano guidati infatti dai discendenti dell'eroe e vantavano diritti su molti regni micenei precedentemente conquistati da Eracle. Siamo giunti a un punto nodale del flusso della nostra civiltà. Il concetto che assimilava i dori a robusti montanari dell'Epiro e della Macedonia, ha tratto in inganno molti studiosi. Ma i dori erano montanari o marinai? Sappiamo che le popolazioni di montagna non si improvvisano marinai, temono ed evitano il mare. Se osserviamo l'area di diffusione dei dori e dei loro centri urbani, evidenziamo la strategica collocazione a dominio del mare Egeo, Creta compresa. Come per i minoici, i micenei e gli altri greci aspiravano alla talassocrazia. Il mare fu un invito costante al contatto e al commercio con gli altri popoli. Come è possibile constatare in Pausania e altri autori, gli alberi genealogici dei re delle più importanti città doriche hanno un unico capostipite: Oceano. Nell'Iliade, Omero afferma che "l'acqua corrente del fiume Oceano a noi tutti è padre comune, e che Oceano è padre dei numi e Teti madre di questi". Di certo nessun balcanico o montanaro avrebbe potuto collocare nell'oceano la propria origine. Probabilmente i dori si possono identificare con quegli Akawasa che rappresentano il più numeroso dei popoli del mare. In questo modo si risolverebbe anche l'annosa problematica se fossero stati i dori o i popoli del mare i fautori della distruzione della cultura micenea. L'identità e la continuità fra achei-micenei e dori è evidenziata anche dal fatto che Eracle diventa l'eroe dorico per eccellenza e non appartiene ad alcuna città specifica, ma all'intera Grecia. Persino gli ateniesi, così attenti alla loro identità, arrivarono a consacrargli un numero maggiore di santuari che non all'ateniese Teseo. Eracle appare come la figura emergente e più celebrata dai popoli del mare, e alcune delle fatiche di Ercole sono vissute oltre i limiti che lui stesso stabilisce con le celebri Colonne, in Oceano, su misteriose isole dove pare, come nel caso delle Esperidi, che l'oro cresca come pomi sulle piante. Elementi culturali collegati all'arrivo dei dori sono lo stile geometrico nella ceramica, l'uso dell'incenerazione e l'uso del ferro. In luogo dei complessi palaziali emergono le poleis che si alleano in federazioni pronte a combattere anche fra loro, e Creta entra a far parte completamente del mondo ellenico, perdendo ogni forma di unità politica ed economica. Anche il confronto fra Wanax miceneo e Basileus (dorico o ionico) è illuminante: il primo ha un controllo sull'economia fondato su una solida amministrazione gerarchizzata, mentre nessun Basileus possiede un'amministrazione, troviamo infatti un consiglio del popolo e un'assemblea che ne limita i poteri. In nessun centro miceneo è attestato nulla di simile: si è già compiuto quel grande passo che porterà alla democrazia. È al tramonto l'era in cui dominavano le caste di principi guerrieri, giunti sulla scena verso il 1750 a.C.


L'immagine in alto è tratta da Lilliu, 1966, sculture della Sardegna nuragica

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